L’accusa chiede l’ergastolo per Dekleva
La pena massima, ergastolo: per l’omicidio di Lucia Manca nel pomeriggio-sera del 6 luglio 2011, per la soppressione del suo cadavere sotto un cumulo di foglie sotto il cavalcavia di Cogollo di Cengio (il corpo venne ritrovato solo il 6 ottobre, ormai ridotto a scheletro) e per la falsa denuncia di scomparsa della donna.
A tanto, ieri, la pubblico ministero Francesca Crupi ha chiesto al giudice Marcella Paccagnella di condannare Renzo Dekleva, il marito della bancaria di Marcon, il rappresentante farmaceutico che diceva di essere medico, ma non si era mai laureato (e che per questo è sotto processo), che aveva raccontato all’amante (che credeva di essere la sua compagna) di essersi separato, quando non era vero.
«Un uomo che ha tenuto un atteggiamento meschino», ha sottolineato la pm, «cercando di screditare la moglie, attribuendole relazioni e atteggiamenti irreali, come il fatto che fosse un’usuraia, lei che era una stimata bancaria».
Nel processo indiziario per omicidio volontario aggravato - sui pochi resti ritrovati non è stato possibile ai medici legali individuare la causa della morte della donna - la pubblico ministero Crupi per due ore ha argomentato partendo dai dati certi: «Il tracciato del cellulare di Dekleva la notte del 7 luglio, la sua impronta sullo scontrino dell’autostrada Venezia-Piovene Rocchetta, la saliva di Lucia nel portabagagli dell’auto del marito, la lesione vertebrale perimortale compatibile con la compressione durante l’aggressione o comunque nello spingere il corpo nel bagagliaio, sono tutti elementi che provano la responsabilità di Dekleva nella soppressione del cadavere. Perché mai un marito avrebbe dovuto nascondere il cadavere della moglie, vestita con abiti da casa, in piena notte se non l’avesse uccisa? Lui voleva separarsi, ma voleva i suoi soldi: quando ha avuto la certezza che Lucia lo avrebbe lasciato portandosi via tutto, l’ha uccisa». La pm ha ricordato come davanti ad un quadro probatorio concorde, anche in assenza di una causa certa di morte, la giurisprudenza riconosca la condanna per omicidio.
Un’udienza a tratti molto tesa, quella di ieri. Renzo Dekleva ha accompagnato la requisitoria con continui borbottii di disapprovazione, commenti a mezza voce, venendo ripreso dalla gup Paccagnella: «Se ha qualcosa da dire, potrà fare dichiarazioni al termine dell’intervento del pm. Ora deve tacere». Poi, lo scatto. Quando l’avvocato di parte civile Antonio Bondi - che rappresenta la famiglia Manca con la collega Gabriela Giunzioni - lo ha chiamato «l’assassino di Lucia», Dekleva è scattato in piedi, rivolgendosi con il corpo verso l’avvocato, venendo subito afferrato per le spalle e fatto risedere dagli agenti penitenziari.
«Lucia Manca è stata uccisa dal marito Renzo Dekleva due volte», hanno ribadito gli avvocati Bondi e Giunzioni, «la prima nella carne e la seconda nella dignità, per la costante diffamazione, le affermazioni meschine di discredito finite nelle intercettazioni mentre era stata data per scomparsa». A termine dell’udienza Dekleva ha fatto la sua criptica dichiarazione ufficiale: «Non sono d’accordo con quanto detto. I miei avvocati hanno raccolto elementi probatori che presenteranno alla prossima udienza non su come è morta Lucia, ma su altri elementi». Appuntamento all’11 aprile per le arringhe della difesa, poi il 12 repliche e sentenza.
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