La vittoria della cultura
L'editoriale del direttore della Nuova di Venezia e Mestre Antonello Francica
VENEZIA. Forse era scritto che dovesse finire così, perché Venezia non poteva essere trattata così. La città italiana che esporta in tutto il mondo il marchio Italia nelle sue accezioni più nobili - bellezza, arte, cultura - non poteva perdere in questo modo una delle sue eccellenze. Che il dottor Malgara abbia rinunciato spontaneamente alla «nomination» per la presidenza della Biennale, è certamente un bel gesto del quale gli va dato atto. Ma, visto il momento in cui cade e accade, è anche la metafora della “resistenza” a quanto di peggio sta oggi attraversando il nostro Paese.
Malgara si ritira; Baratta, presidente amatissimo e considerato ormai venezianissimo, può a ben ragione puntare ad un altro quadriennio alla guida della più importante istituzione culturale italiana. Tutto ciò, va detto senza perifrasi e senza ipocrisie, è bellissimo per lui, per la città, per quanti hanno dato vita ad una sorta di sollevazione popolare contro la decisione di Galan; ed è altrettanto bello per noi della “Nuova”, giornale del territorio che fin dal primo giorno si è schierato a fianco di Venezia e di quanti reclamavano la conferma di Baratta, protagonista di una grande stagione al vertice della Biennale.
E, lasciatecelo dire, quanto è accaduto in questo mese è davvero straordinario. Mentre l’Italia precipitava e la sua credibilità nel mondo veniva gravemente messa in discussione, da tutte le parti del mondo sono piovute migliaia di adesioni all’appello pro-Baratta lanciato dalla “Nuova” sul proprio sito web. Hanno firmato oltre 4300 persone, dagli Stati Uniti alla Svezia, dal Canada alla Francia, dall’Inghilterra alla Germania e, soprattutto, hanno firmato pesone comuni, operai, pensionati, casalinghe di Venezia, del Veneto e di ogni angolo d’Italia. Persone diversissime, na vere, lontane tra loro eppure tutte messe insieme da un idea: quella di opporsi alla politica dell’imperio, del qui comando io e chi s’è visto s’è visto, e chi se ne importa se c’è da mandare a casa uno che ha fatto benissimo e che merita di continuare il proprio lavoro.
Forse è stato il caso a volere che un muro di no a questo metodo arrivasse attraverso una delle materie che meno ci si potrebbe aspettare - quella della produzione di cultura -, ma che sia avvenuto è fantastico, ed è educativo anche per il mondo dell’informazione, sempre più alle prese con grandi trasformazioni che evidentemente non sono solo tecnologiche, ma che riguardano lo stesso modo di informare. La conclusione di questa vicenda e il grande successo dell’appello su www.nuovavenezia.it rilanciano tuttavia un’immmagine positiva del nostro Paese e restituiscono fiducia a quanti in tutto il mondo sanno cos’è e com’è la Biennale di Venezia. Abbiamo contribuito a far questo e ne siamo orgogliosi. Non solo: ma sappiamo anche che stare in trincea per la cultura non è una battaglia persa. Tutt’altro: ricordando la Yourcenar, è anzi come costruire granai per ammassare riserve contro l’inverno dello spirito. Di questi tempi, in Italia non è poco.
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