«La vaccinazione dei figli è un atto d'amore e responsabilità»
VENEZIA. «I vaccini? Un atto d'amore e di responsabilità dei genitori verso i figli. Vaccinare i bambini significa diminuire i contagi anche tra gli adulti». Le parole sono di Giovanni Leoni, presidente veneziano dell'Ordine dei medici, e fanno da contraltare agli slogan che invocavano la libertà vaccinale scanditi dai duemila genitori veneti che sabato pomeriggio hanno manifestato a Venezia per protestare contro il decreto Lorenzin che prevede dieci vaccinazioni obbligatorie per l'ingresso a scuola.
Dottor Leoni, sabato per il sit-in sono arrivate famiglie "no vax" da tutta la regione. Che effetto fa a un medico una mobilitazione così massiccia? «Una grande tristezza, oltre che preoccupazione. Ma nel contempo nutro la speranza che in un prossimo futuro ci sia una visione più lucida della realtà scientifica e che i genitori non prendano decisioni predeterminate senza essersi confrontati con i dati della letteratura scientifica mondiale veicolati attraverso i messaggi di esperti riconosciuti e accreditati»
È allora un problema di conoscenza e di fonti? «La credibilità e il ruolo di chi parla sono fondamentali. Bisogna evitare di dar retta a messaggi tradotti e urlati al grande pubblico con uno stile derivato da quello della pubblicità. Messaggi, questi, che non hanno nulla a che vedere con il metodo divulgativo scientifico che è pacato e ricco di contenuti che vengono assimilati nel tempo».
I manifestanti hanno contestato l'obbligatorietà dei vaccini, invocando invece la libertà di scelta. Su una questione di salute così delicata, è ammissibile a suo dire la scelta? «Essere parte di una società civile determina la necessità di rispettare le regole, altrimenti si travalica nell'individualismo e nell'autodeterminazione e si torna nella barbarie. È la stessa cosa che avviene per la sicurezza stradale o la raccolta differenziata. Quando si parla di salute, in particolare di quella dei bambini, la responsabilità nel rispettare le regole è ancora maggiore».
Il decreto Lorenzin ha scatenato il popolo dei no vax e sta tenendo banco in questi giorni di ritorno a scuola. È una legge che le piace? «Il decreto è stato drastico ma necessario, poteva essere certamente migliorato ma rappresenta il male minore dinnanzi alla piega che stava prendendo la questione vaccinale. Basta un dato: in Veneto negli ultimi anni è raddoppiato il dissenso informato consapevole (la possibilità data al genitore di decidere di non vaccinare i figli, ndr) per il vaccino antipolio nei primi sei mesi di vita del bambino».
Ci siamo forse dimenticati di quanto i vaccini hanno cambiato la storia? «Oggi viviamo in un contesto in cui le epidemie non sono una memoria storica che appartiene alle giovani generazioni. Sembra quasi che la questione sia trattata in modo superficiale, ignorando cos'è stata la nostra storia. Per i medici, parlare di vaccini è una questione anacronistica perché assodata da tempo. Invece oggi sembra di essere tornati nell'ambiente kafkiano dei tempi della terapia Di Bella o del caso Stamina: non si possono mettere sullo stesso piano fonti scientifiche e altre fonti che non sono autorevoli ma che vengono urlate».
Allora perché vaccinare? «Anzitutto per assolvere a un dovere di protezione verso i propri figli. Vaccinare è un'azione di responsabilità del genitore, è un gesto d'amore. Non vaccinare un bimbo per paura è una esasperazione del desiderio di protezione che alla fine espone il figlio a rischi maggiori. Ma non solo: vaccinare è anche un gesto di altruismo verso quelle categorie che per problemi immunitari non possono essere vaccinate. La cosiddetta immunità di gregge superiore al 95% consente protezione anche per queste categorie più deboli. Per questo i medici devono richiamare chi ha idee difformi da quella che è la realtà scientifica».
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