La truffa milionaria di Jesolo. «Date 16 anni ai coniugi Nardin»
JESOLO. «Il ragionier Nardin ha abusato del rapporto fiduciario con le vittime che spesso erano amici di famiglia, persone che per anni avevano creduto che quelle che erano arrivate fossero cartelle pazze e che non ci fosse nulla di irregolare». Su questo presupposto, il pubblico ministero Roberto Terzo ha chiesto ieri la condanna per il ragionier Nicola Nardin e per la moglie Luisella Bozzato.
Richieste pesantissime a fronte di reati particolarmente odiosi. Secondo la Procura, il professionista e la consorte non avrebbero versato al Fisco oltre due milioni di contributi e Iva che decine di privati e società avevano pagato allo "Studionardin" di Jesolo. Sette anni e otto mesi per il falso e per 32 truffe, a cui si sommano 2 anni per dichiarazioni infedeli, in tutto 9 anni e 8 mesi per Nardin, mentre per la moglie 6 anni e 4 mesi.
Le truffe antecedenti l'aprile 2010 - una decina - vanno in prescrizione, ne restano 32. Il pm ha negato le attenuanti generiche a Nardin: «Non è una persona che le merita, non ha mai manifestato rincrescimento, né si è presentato in aula».
Nella sua requisitoria, il magistrato ha ricostruito il meccanismo della truffa: «I soldi dei clienti, una volta entrati nella disponibilità dello studio, non venivano usati per pagare le imposte. Essendoci un debito, Nardin adottava la tecnica usata da molti evasori, ossia dichiarava di avere un credito da compensare. E al cliente preparava una ricevuta di versamento. Al contribuente, però, arrivavano le cartelle di Equitalia. Nardin temporeggiava, dicendo che sono cartelle pazze».
I soldi versati sul conto dello studio per contribuiti e Iva, secondo l'accusa, venivano dirottati sui conti correnti personali «per alimentare un tenore di vita spropositato, gli estratti conto delle carte di credito parlano chiaro» ha detto il pm chiarendo che ad esempio nel conto aperto a Veneto Banca, su 1.033.000 euro, solo 2.000 euro erano stati usati per le tasse e il resto girati sulla carta di credito di Bozzato. Uno stile di vita, quello dei Nardin, segnato dalle spese pazze tra vestiti griffati, cene in ristoranti stellati, gioielli, antiquariato e arredamento. Eppure il ragioniere e la moglie dichiaravano redditi "normali", attorno ai 50 mila euro all'anno, spesso di meno.
E quando si era visto scoperto, il ragioniere si era presentato alla Finanza denunciando di essersi dovuto impossessare dei soldi perché strozzato dall'usuraio Roberto Tegon (che ha patteggiato due anni). Anche questa una bugia, secondo il pm, così come non sarebbe stato vero che la moglie era solo una prestanome. «Sui conti della Bozzato, che nello studio si occupava di rateizzare i debiti verso Equitalia, arrivano i soldi distratti e lei li spende. Il dominus del meccanismo era il marito e lei non sapeva nulla?», si è domandato Terzo.
Parola ieri in aula anche alle parti civili, rappresentate tra l'altro dagli avvocati Victor Rampazzo, Dario Chiarenza e Alessio Bacchin, che hanno sottolineato come la sottrazione dei soldi alle vittime si è trasformata in situazioni difficilissime dal punto di vista personale e lavorativo. C'è chi ha dovuto chiudere l'attività, chi ha perso le proprietà. In molti avevano raccontato i propri drammi in aula. Le parti civili hanno chiesto una provvisionale pari ad almeno il 50% del danno accertato. Ha parlato anche l'avvocato Renato Alberini, che difende Tegon, anch'egli vittima di Nardin, sottolineando l'atteggiamento a vittima del ragioniere. Martedì prossimo tocca alla difesa, la giudice Claudia Gualtieri sentenzierà entro fine ottobre.
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