LA TRAGEDIA DI CAVARZERE Il sindaco: «Come noi 50 anni fa, li piangiamo come nostri figli»

L’affetto della gente del paese veneziano: gli immigrati sono i poveri di oggi, fanno il bagno nel fiume, noi in piscina

CAVARZERE. «Ci comporteremo come se fossero stati ragazzi “nostri”. Perché, di fatto, lo erano». È questo il principio a cui il sindaco, Henri Tommasi, intende attenersi nei riguardi delle famiglie dei tre ragazzi annegati lunedì. Del resto i tre giovani frequentavano le scuole cittadine, giocavano in patronato con i loro coetanei. E così i loro familiari. Per esempio, una sorella di Abdilelah, che frequenta l'alberghiero ad Adria, aveva fatto uno stage in un bar del centro, il «Numero 5». Anche se erano arrivati a Cavarzere in tempi relativamente recenti, quattro o cinque anni fa, magari insieme alle madri che, a loro volta, avevano seguito i padri, arrivati in Italia alla ricerca di un lavoro, i tre ragazzi erano inseriti nella società cavarzerana, in tutti gli ambienti in cui potevano farlo.

Ma c'è qualcosa di più, che colpisce, in questa disgrazia: un ripetersi della storia. «Fanno quello che facevamo noi cinquant'anni fa», commenta qualche cavarzerano pensando alle sue nuotate, da ragazzino, nell'Adige. «Allora non c'erano le piscine e non si andava in spiaggia. Loro non possono permetterselo e si comportano come noi, una volta». E anche una volta c'erano i morti annegati. Solo che oggi è difficile ricordarne i nomi, come è difficile pronunciare quelli delle nuove vittime della povertà. Perché, in fondo, è di questo che si tratta.

La comunità marocchina ha chiesto un aiuto economico per le esequie. «Ci sono dei fondi per i funerali agli indigenti», dice Tommasi, «attingeremo a quelli anche se non potremo coprire l'intera spesa. E proclameremo il lutto cittadino, come abbiamo fatto quando sono morti i tre ragazzi di Rottanova, alcuni anni fa: serrande abbassate, per qualche ora, il giorno della partenza delle salme».(d.deg.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia