La società da una sterlina al timone dell’Agrivillage

Un’operazione da 80 milioni in mano a una micro Spa londinese sotto una catena di “trust” nei cui vertici figura l’ingegner Davide Dall’Asta. Un gioco di scatole cinesi in riva al Piave per creare dal nulla un outlet destinato al cibo e all'agroalimentare
La ricostruzione elettronica del progetto Agrivillage a Musile di Piave
La ricostruzione elettronica del progetto Agrivillage a Musile di Piave

MUSILE DI PIAVE. Un sistema di scatole cinesi protegge gli investitori (se ci sono) di Agrivillage, megacentro commerciale da 80 milioni ormai in pista di decollo. Per tutta l’estate il circolo di Legambiente del Veneto Orientale ha cercato di risalire la catena, partendo – in mancanza di dati ufficiali – dalle due società che hanno presentato il progetto al comune di Musile, lasciato dalla Regione unico arbitro di un insediamento che supera ampiamente i confini locali. I risultati sono sconvolgenti: alla fine della catena, chi tiene il bastone di comando è una società iscritta al registro delle imprese di Londra con capitale sociale una sterlina.

Il progetto Agrivillage non piace agli agricoltori

Dicesi 1 euro e 10 centesimi. Si chiama Italian Business Consulting, ha un unico socio, Raffaele Volpe, e un direttore, Davide Dall’Asta. Lo scopo dichiarato è fornire consulenza alle imprese italiane che vogliono operare nel mercato inglese. Non viceversa, come sarebbe il caso di Agrivillage, per il quale si parla di un fondo inglese pronto a lanciare nell’operazione 50 milioni.Un investitore di questo calibro si farebbe guidare da una società con capitale 1 euro e 10 centesimi? Ripercorrendo la catena verso il basso, Italian business possiede il 100% di Francisco Sfa Ltd, che a sua volta possiede l’80% di Antonio Sv Srl, società italiana con capitale depositato 10.000 euro (cifra minima per costituire una Srl in Italia).

Ma Antonio Sv è la faccia nota dell’investitore di Agrivillage e fa capo all’ingegner Davide Dall’Asta. Nelle carte del municipio la società risulta dal 29 settembre 2015 «promissionaria acquirente dei terreni» (600.000 metri quadrati dove sorgeva un allevamento di polli dismesso) anche se inizialmente si era presentata come proponente. L’acquirente dei terreni era Impresa San Marco 18 Srl, società con capitale 10.000 euro, che poi ha lasciato il passo ad Antonio Sv. Risalendo anche questo ramo, Impresa San Marco risulta posseduta al 95% da Trust Fa 95 e al 5% da Venezia Travel, nei cui cda figurano i Dall’Asta padre e figlio (Dall’Asta senior è scomparso di recente).

Non basta. Le due società confluiscono in Project Life Trustee Srl di Torino, socia al 100% di Trust Matilde, di cui è amministratore unico Filippo Lanteri, un commercialista esperto di trust, che divide lo studio con Marcello Scarabosio, altro nome che circola nelle quote societarie. Gira la testa e non per caso. Ma si torna sempre ai soliti nomi, perché Impresa San Marco trasferisce l’iniziativa ad Antonio Sv. Come dire che Dall’Asta passa la mano a se stesso.

«Agrivillage, un’opportunità»

Fin qui le “rivelazioni” di Legambiente, fatte da Maurizio Pilotto e Paolo Orlando martedì sera, in un’assemblea affollatissima. Presidiata da una robusta claque di sostenitori del progetto, arrivati da mezzo Veneto, che li ha contestati. A richiesta di quanti abitassero a Musile, solo una mano si è alzata.

La mobilitazione pro Agrivillage è orchestrata dai circoli Clemm, fondati da Maurizio Sarlo, un predicatore che promette un mondo migliore attraverso l’associazionismo e i programmi Teu («teoria del paradiso in terra»). A tenere i piedi per terra c’erano l’architetto Massimo Furlan, nuovo progettista di Agrivillage, che ha sostituito lo studio Proteco, in causa per non aver ricevuto metà dell’onorario pattuito. E l’avvocato Marco Franco, legale di Dall’Asta. Da Furlan è bello sapere che non ha problemi di onorario. «La società spenderà 2 milioni per riqualificare l’area» dice. «Quanto ai finanziamenti, Dall’Asta dovrà firmare una fidejussione di 7-8 milioni prima di avviare i cantieri. È previsto dalle normative, altrimenti non potrà fare nulla. Questo dovrebbe tranquillizzare».

Peccato che l’unico modo di finanziarsi emerso finora sia stato chiedere 630.000 euro a testa agli imprenditori per farli diventare soci di quote minime di Agrivillage. Si direbbe che lo scopo sia arrivare all’accordo a qualunque costo. E poi? «L’idea base del progetto è bellissima», commenta a distanza l’architetto Valter Granzotto, titolare di Proteco. «Ma le gambe? Vorrebbero imitare Eataly di Farinetti, ma a parte che Farinetti punta su grosse città, non sul territorio, queste operazioni si reggono su investimenti che rientrano attraverso la gestione. Non con interventi mordi e fuggi».

L’assessore Susanna difende il progetto dell’Agrivillage
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