La Sirma: dalla quotazione in Borsa alla liquidazione
MARGHERA. Non è la prima volta che le cronache si occupano della Sirma: l’area in cui è accaduto il tragico incidente di ieri pomeriggio è quella dell’azienda chiusa dall’imprenditore Stefano Gavioli nel 2008 con la procedura di liquidazione.
La vicenda è stata al centro di accese polemiche dei lavoratori e dei sindacati dei chimici. Gli operai, cinque anni fa, avevano anche depositato un esposto alla Procura della Repubblica con cui accusavano l’allora presidente di Sirma, oggi nell’occhio del ciclone per le inchieste dei Tribunali di Napoli e Catanzaro (i reati ipotizzati sono associazione per delinquere, abuso d’ufficio, evasione fiscale, corruzione, falso e disastro ambientale) di avere pilotato la crisi di Sirma per liberare l’area dall’attività di produzione di refrattari.
In questo modo, senza la fabbrica e i lavoratori, l’area di 27 ettari avrebbe acquisito un valore ancora più elevato sul mercato. Secondo i sindacalisti poi Gavioli, nel 1998, avrebbe pagato una pipa di tabacco il sito alla Saint Gobain, grazie ad un’operazione avvenuta sotto l’egida dell’allora sindaco Massimo Cacciari.
La crisi di Sirma è stata denunciata dai lavoratori e dai sindacati esattamente il 6 marzo del 2008. Fino a quel momento però c’erano stati dei segnali che avevano fatto pensare a tutto tranne che alla crisi. Dal novembre 2007 al gennaio del 2008, si era parlato addirittura di quotare in borsa la Sirma e per questo motivo i bilanci della Sirma erano stati certificati dalla Kpmg.
Il 6 marzo 2008 però i 250 lavoratori dell’azienda (200 dipendenti diretti e 50 degli appalti) scioperarono, accusando Gavioli di aver smesso di pagare i fornitori. Quel giorno fu aperta la procedura di liquidazione. Dei quasi 200 dipendenti una sessantina riuscì a trovare altri sbocchi. Il 16 ottobre 2008 arrivarono i licenziamenti per 137 lavoratori rimasti. Sul caso, sempre nel marzo 2008 marzo, gli enti locali (Comune e Provincia), la Regione e la Prefettura aprirono un tavolo. I lavoratori diedero vita ad una cooperativa, per tentare di acquistare l’azienda, offrendo più di tre milioni di euro, alla fine di novembre 2008. I liquidatori però rifiutarono l’offerta adducendo il motivo che era troppo bassa.
Nel 2009 annunciarono che avrebbero venduto i beni aziendali per un valore di circa 10 milioni di euro con un bando che avrebbe avuto lo scopo di pagare semplicemente quelli che secondo i liquidatori all’epoca erano i debiti aziendali. (mi.bu.)
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