La risposta dei presunti jihadisti: «Il Kalashnikov? Serve per andare a caccia»
VENEZIA. Arjan Babaj, il kosovaro che per la Procura antiterrorismo di Venezia è un presunto jihadista, si era fatto fotografare imbracciando un Kalashnikov e la foto era rimbalzata sul social. Per la pubblico ministero Francesca Crupi, che ha seguito l’inchiesta con il procuratore aggiunto Adelchi d’Ippolito, è l’ennesima prova della violenza del giovane, al pari degli altri imputati Fisnik Bekaj e Dake Haziraj, tutti accusati di associazione con finalità di terrorismo internazionale. Ma durante l’interrogatorio di martedì, nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Massimo Vicinanza, Babaj (difeso dall’avvocato Vincenzo Platì) ha cercato di sminuire quello scatto. «È una foto vecchia», ha detto. Ma la pm gli ha fatto notare come la data fosse di fine 2016 e che quindi tanto vecchia non potesse essere. Incalzato dalle domande, Babaj ha risposto che quel Kalashnikov «serve per andare a caccia».
Anche gli altri due imputati sono stati interrogati dalla pubblico ministero e dai rispettivi avvocati Stefano Pietrobon per Bekaj e Patrizia Lionetti e Alessandro Compagno per Haziraj. Interrogatori serrati, nei quali sostanzialmente tutti hanno contestato il senso delle intercettazioni che per la Procura sarebbero la prova regina del fatto che la cellula veneziana stesse organizzando un attentato in centro storico e hanno smentito ogni addebito a loro carico. Le domande hanno riguardato anche un coltello acquistato per pochi euro. Nelle intercettazioni depositate dalla Procura, Bekaj commenta che con quella lama si può sgozzare una mucca, aggiungendo che basta un colpo al collo per vedere che escono le vene.
Dall’inchiesta è emerso come il contatto con l’Isis fosse quello intessuto da Babaj che era iscritto a un canale radio dello Stato Islamico da dove poteva scaricare i sermoni e altri discorsi filo jihadisti che poi faceva ascoltare ai suoi amici nell’appartamento di San Marco.
Nelle scorse settimane la difesa di Haziraj aveva depositato un quaderno nel quale il giovane kosovaro aveva raccontato di sé, del suo arrivo in Italia e della sua vita qui, ma anche del fatto che ricorda come un fratello quella persona che gli regalò un panino nelle prime ore nel nostro Paese. Nell’udienza di martedì, la pubblico ministero Crupi ha concluso chiedendo la condanna dei tre imputati a 4 anni e 8 mesi di reclusione, la stessa pena comminata al minorenne che faceva parte del gruppetto. La sentenza del gup Vicinanza è attesa per il pomeriggio di lunedì in aula bunker a Mestre.
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