«La ricetta segreta per vivere a Venezia è la resilienza»
Manù Brunello, artista passata da perle e gioielli alla tela «La miglior città in cui realizzare le mie opere con passione»
Venezia è una vetrina che costringe il mondo a farsi stretto tra calli e campielli. Un fiume di persone, che travolge quanto resta di mestieri e tradizioni. Una ricetta per restare a galla? La resilienza di chi si adatta, anche al turismo, riscopre la passione e rinnova le radici.
Quando una decina di anni fa si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, Manù Brunello, 58 anni, non avrebbe pensato di dipingere da grande. Mestrina di nascita, prima di dedicarsi a pennelli e pittura realizzava gioielli con perle di vetro. Una produzione artigianale, decorativa e sfarzosa. Che nasce dalla passione per gli oggetti, in particolare quelli del passato, e per la storia che ognuno porta con sé: per quali mani sono passati, quale anima li ha realizzati. È una curiosità ad avvicinarla alla pittura, nessuna velleità di diventare pittrice, forse solo il rimpianto di non averlo fatto prima. Ne nasce una sfida: cimentarsi in qualcosa di più grande, dal gioiello alla tela. L’oggetto rimane al centro della sua ricerca artistica, ma questa volta perle ricami e altre decorazioni sbocciano da un pennello.
La sua prima opera è un mandala di due metri e mezzo: il connubio tra l’aver realizzato gioielli e la pittura ad olio le permette di realizzare opere tridimensionali. Comincia a dipingere oggetti decorati, “in rilievo”, ispirandosi alla natura e alla tradizione. Realizza vestiti “sospesi”, iconici, spogliati del corpo. E ancora merletti, ricami con perle, animali rappresentati in maniera preziosa come se i loro occhi emanassero una richiesta di rispetto.
«Mi si è aperto un mondo, e da quel momento ho cominciato a divertirmi» racconta Manù Brunello «ho abbinato la mia passione per gli oggetti del passato, alla possibilità di poterli decorare e arricchire».
Dopo anni passati a dipingere in casa, alla Giudecca, lo scorso maggio il grande salto: un piccolo studio/atelier in calle delle Carrozze, due passi da Palazzo Grassi. Una strada di passaggio, affollata durante le grandi mostre organizzate dalla fondazione Pinault (come l’ultima di Hirst) e quindi ideale per cercare visibilità. Ma anche un deserto negli altri mesi dell’anno, lontano dalle arterie principali della città e dagli interessi di un turismo mordi e fuggi.
«Come spazi espositivi Venezia non ha eguali e quindi sarebbe un posto ideale per l’arte» spiega Manù «il problema è che si punta quasi esclusivamente su un’arte “brand”, come quella delle grandi mostre. Per i piccoli artisti farsi spazio è sempre più difficile».
Negli ultimi anni la visibilità delle sue opere è andata in crescendo: Molino Stucky, Salone del Mobile di Milano, eventi collaterali alla Biennale, spingendosi fino a Bolzano (galleria Sernesi), Bologna (galleria Farini Concept) e ancora Milano (Affordable art fair). Tutto con le proprie forze: treppiede e pennello, trasporti con i carretti su e giù per ponti e calli per esporre in giro per la città. Un impegno totalizzante, perché è sempre più difficile restare a galla per chi vuole campare d’arte. E rinunciare o cambiare aria? «Assolutamente no, Venezia è la città migliore dove realizzare il mio sogno e questa è l’unica cosa che so fare con passione. Certo» conclude «dobbiamo capire che la città siamo noi e ognuno, anche gli artisti, può contribuire a renderla più a misura di chi ci vive» .
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