La ragazza che dà nuova vita alle vele

Camilla Morelli, 26  anni, è nata in Valtellina ma si sente figlia del mare. A Caorle cuce le vele e con gli scarti realizza accessori. Perché la nautica, dice, dev'essere ecosostenibile fino in fondo

CAORLE. Non è solo il caso a far cambiare aria. Di mezzo ci sono le passioni e, nel caso di Camilla Morelli, la voglia di andare dove il vento soffia e il mare ispira. I suoi genitori l'hanno messa sugli sci quando aveva due anni, ma dalle montagne della Valtellina, dove è nata e cresciuta, è finita a cucire vele a Caorle e a riciclare brandelli di tessuti avanzati per trasformarli in accessori da mare e da città.

Quando, da ragazzina, Camilla è salita per la prima volta su una barca ha capito subito che, presto o tardi, avrebbe “tradito” la montagna per il mare. Lo ha fatto presto: non è una regatante ma una che naviga per passione e a 26 anni, dopo una laurea in lingue a Venezia e un corso per maestro d'ascia alla Certosa, tutte le mattine parte dal suo sestiere, Cannaregio, per andare alla veleria “Baraonda” di Caorle, dove lavora da un anno. Il suo capo, Paolo Favaro, non batte ciglio quando la vede mettere le mani nella spazzatura e pescare ritagli di tessuto, perché sa cosa diventeranno: borse, cinture, portafogli, astucci, portachiavi, tovagliette per la colazione e cuscini.

A fine giornata, dopo aver tagliato e cucito le vele commissionate dai clienti, in giro per la veleria ci sono brandelli di tutti i tipi: in dacron, kevlar, mylar, poliestere laminato, spectra, nylon, materiali forti, resistenti alle intemperie che, solo a guardarli, fanno venire voglia di mare. Camilla li seleziona, li raccoglie e li unisce a pezzi di vele già usate, dismesse e ancora piene di sale, provenienti da velerie di tutta Europa e destinate al macero. Ne fa un bel mucchio e si mette alla macchina da cucire da dove, ogni giorno, saltano fuori accessori, che sono ormai diventati un must tra gli appassionati di vela, e che sono distribuiti nelle librerie e nei negozi di nautica di tutta Italia.

“I nostri accessori hanno tutti una storia da raccontare: sia che provengano da vele da regata, da barche che navigano nel Mediterraneo, o da velerie che s'affacciano sull'Atlantico. Portano il sapore e l'esperienza di quei luoghi”, dice Camilla. E anche la sua, quella di una ragazza di montagna che ha scelto di vivere di mare, è una storia da raccontare.

“L'idea del riciclo mi è venuta nel 2010 in Francia, a La Rochelle. Lavoravo lì, alla veleria Incidences, e a febbraio una forte tempesta ha rovinato e sommerso di acqua e fango una grande quantità di vele. Ho cominciato a vedere i cassonetti riempirsi di questi preziosi materiali, che si usano per le grandi regate oceaniche, e non ho resistito: li ho caricati in macchina e me li sono portati a casa. Li ho lavati, asciugati e ho iniziato a cucirli”.

Buttare via pezzi di vele - i “muscoli” delle barche, come le chiamava Saramago - vorrebbe dire ignorare quanta energia e quanta storia hanno ancora da donare, forti come sono. Camilla ci pensa ogni volta, mentre li assembla per farli rinascere: “Navigare ha un grande fascino. Salire a bordo e andare dà un senso di libertà, avvicina l'uomo all'ambiente, lo fa stare a contatto con il vento e con l'imprevedibilità della natura» dice. «Ma gli sprechi, nell'industria nautica, sono all'ordine del giorno e più ci penso più cerco, nel mio piccolo, di trovare un modo per dare nuova vita a questi materiali, che possono avere un'altra, lunghissima vita. La nautica può diventare davvero un settore ecosostenibile, ma bisogna ingegnarsi di più”.

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