«La Pometon non poteva rompere l’equilibrio»
MARTELLAGO. «Il superamento della contrattazione precedente non può intervenire su situazioni ormai consolidate per modifiche incidenti sull’ammontare della retribuzione dovuta, dovendo anche in questo caso ritenersi consolidato il diritto al mantenimento della stessa in capo al dipendente». È uno dei passaggi fondamentali delle motivazioni della sentenza, depositata nei giorni scorsi, con la quale il tribunale di Venezia lo scorso 30 maggio era intervenuto sul caso della Pometon. Motivazioni destinate a far discutere. Era scoppiato nel marzo del 2012 il caso dell’azienda con sede a Maerne di Martellago fondata dall’ingegnere SergioToniolo nel 1940 e specializzata nella produzione di polveri metalliche destinate a fornire le multinazionali della componentistica dell'industria dell'auto. L’azienda, attribuendo la responsabilità alla crisi, aveva deciso di disdire e azzerare la contrattazione aziendale, frutto di 40 anni di confronto con le organizzazioni sindacali. Le trattative ripartono da zero: La Fim-Cisl dice sì, la Cgil-Fiom si rifiuta. Il 31 marzo del 2014, dopo mesi di fuoco e confronto con l’azienda - ma soprattutto tra i due sindacati dei metalmeccanici - arriva l’accordo per un nuovo contratto aziendale, ma è un contratto separato, firmato solo dalla Fim-Cisl. E, soprattutto, che vale solo per i lavoratori iscritti alla Cisl. E per tutti gli altri? Si applica solo il contratto collettivo nazionale, con riduzioni in busta paga di 5.000-6.000 euro in meno rispetto al contratto precedente. «Perché», spiegava Stefano Boschini, segretario provinciale della Fim, «un lavoratore della Fiom deve ottenere i vantaggi di un contratto che il suo sindacato si è rifiutato di discutere?». Era una delle prime volte in Italia che succedeva qualcosa del genere. L’accordo era stato impugnato da 23 lavoratori iscritti alla Fiom, che si erano rivolti agli avvocati Piergiovanni Alleva, Dino Bravin, Stefania Mangione e Alberto Piccinini, vincendo il ricorso contro l’accordo separato e ottenendo le parti del salario sottratte dopo l’entrata in vigore dell’accordo separato, tra i quali il premio di produzione e la quattordicesima. Le motivazioni del giudice, Anna Menegazzo, ora spiegano perché. Non è messo in discussione il diritto di un’azienda di disdire in modo unilaterale un contratto aziendale ma la decisione di privare i lavoratori dei trattamenti ottenuti. Un sentenza imperniata sull’articolo 2103 del codice civile. Nella riflessione del giudice per gli avvocati è prevalso «il principio di corrispettività per il quale, una volta stabilitosi un equilibrio tra due beni economici che si scambiano (ad esempio tot retribuzione contro quantità tot di forza lavoro) non può una parte autoridursi la prestazione cui è obbligato pretendendo che l’altra continui a corrispondere la sua con modalità e quantità invariate».
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