La polizia non parla cinese, il giudice annulla l’espulsione
PADOVA. Cavilli di legge che finiscono per intasare le aule di tribunali, fanno a pugni con il buon senso, rendono impossibile anche la gestione delle normali trafile come quelle per il rilascio dei permessi di soggiorno. E che fanno felici (o rendono giustizia a seconda dei punti di vista) gli stranieri, soprattutto quelli che non hanno problemi a pagarsi un avvocato per far valere le proprio ragioni. A quanto pare, l’adagio popolare che la legge non ammette ignoranza non vale più. E sembra stridere con la decisione del Tar del Veneto che, l’altro giorno, ha dato ragione a una cinese che - in Italia già da 5 anni - si è appellata perché la richiesta della questura di allegare documenti utili al rinnovo del permesso di soggiorno non le era stata tradotta in cinese. Quindi lei non ha capito, non ha presentato la dichiarazione dei redditi necessaria e il rinnovo le è stato negato. Verrebbe da dire che, dopo 5 anni e visto che in Italia evidentemente ci vuole rimanere, forse l’italiano avrebbe potuto impararlo, ma c’è poco da fare: la legge è dalla parte sua. Giusto. Sacrosanto. Il ministero dell’Interno, tra l’altro, è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali.
Non c’è dubbio che si tratta di materia delica e complessa. Tuttavia, quello della signora cinese è solo l’ultimo dei ricorsi ai giudici amministrativi veneziani presentati da stranieri: negli ultimi tempi, infatti, si sono moltiplicate le cause da parte di extracomunitari che contestano il diniego del permesso di soggiorno da parte degli uffici competenti.
E non è raro che vincano, visto che a volte la procedura applicata nei loro confronti non è stata giudicata del tutto regolare, o comunque vengono ravvisati dei vizi procedurali. Tra l’altro, gli stranieri sono sempre di più e l’aumento di possibili cause sarà esponenziale nei prossimi anni. Facile prevedere quindi un ingolfamento della giustizia amministrativa. Che - giusto ricordarlo - ha l’obbligo di verificare caso per caso. Il più delle volte i ricorsi vengono rigettati, ma crescono in continuazione, nonostante rivolgersi a un legale per pretendere giustizia abbia un costo elevato.
Sempre di pochi giorni fa è un’altra sentenza che riguarda un marocchino residente a Padova che è riuscito a far condannare il ministero dell’Interno (sanzione di 1.500 euro più spese processuali) facendo annullare l’atto nel quale la prefettura rigettava la richiesta di emersione del lavoro irregolare (si tratta di un beneficio previsto dalla legge per gli imprenditori che dichiarino di aver avuto lavoratori stranieri in nero dei quali hanno denunciato la presenza entro una tale data). Una situazione complessa in merito alla quale è riuscito a dimostrare di aver lavorato in una ditta nonostante fosse stato occupato per un periodo in nero. Quindi senza produrre alcun documento contabile. Per i giudici veneziani «è possibile addivenire al rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione anche in assenza delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo pari ad almeno 6 mesi». È ricorsa al Tar pure un’altra signora cinese che nell’istanza ha fatto presente ai giudici che non ha potuto presentare nei tempi consentiti il certificato di frequenza dell’Università di Padova a causa di un blocco informatico il quale avrebbe impedito per motivi tecnici l’accesso alla frequentazione on-line del corso di laurea in Scienze e Tecniche psicologiche. Stavolta i giudici hanno rigettato il ricorso.
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