La "muraglia mangiasoldi" come il Mose

Doveva marginare l'inquinamento dai siti contaminati alla laguna. Già costata 780 milioni e lunga 44 chilometri: mancano ancora 3 chilometri. Se non verrà completata non servirà a nulla. Ma per finire il 5% dei lavori servono il 30% delle somme spese finora.

PORTO MARGHERA. «Le istituzioni locali devono prendere in mano la situazione e il governo deve garantire i fondi per completare la messa in sicurezza di Porto Marghera, altrimenti la riconversione resterà un miraggio e terreni e laguna resteranno avvelenati». A dare l’allarme è stato ieri Alessandro Bratti, il presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul ciclo dei rifiuti e inquinamento ambientale, intervenuto all’incontro tenutosi nella sala consiliare della Municipalità di Marghera, insieme al senatore Felice Casson (vicepresidente della Commissione giustizia del Senato) e al presidente della Municipalità, Gianfranco Bettin.

Il rapporto della Commissione parlamentare ha scoperchiato una situazione «drammatica dal punto di vista ambientale e paragonabile a quella del sito dell’Ilva di Taranto per la sua vastità e gravità». Gravità che è stata confermata proprio ieri da una relazione dei carabinieri del Noe, incaricati dal ministero dell’Ambiente di un supplemento di inchiesta su Porto Marghera che potrebbe aprire le porte a un’indagine giudiziaria dai risvolti inquietanti.

Dunque, il Mose che dovrebbe salvare Venezia dall’acqua alta non è l’unica opera non ancora completata, costata miliardi di euro e infine diventata un caso giudiziario con tanto di arresti e condanne che hanno coinvolto i massimi livelli della Regione Veneto e del concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova con il Gruppo Mantovani in testa. L’altra grande opera incompiuta è la “grande muraglia”, ovvero il muro di marginamento lungo 44 chilometri che dovrebbe contenere e smaltire a Fusina le acque contaminate dei terreni che altrimenti finirebbero in laguna con l’acqua piovana. Anche per l’opera di messa in sicurezza di Porto Marghera e della laguna, infatti, sono stati spesi molti soldi pubblici - quasi un miliardo di euro, per ora, gran parte provenienti dai risarcimenti ambientali pagati dalle imprese di Porto Marghera in cambio di una liberatoria sugli obblighi di bonifica relativi al loro sito - e l’opera non solo non è stata realizzata, ma ora rischia di diventare del tutto inutile se non dannosa dal punto di vista ambientale. «Il mancato completamento delle opere di marginamento», ha spiegato Bratti, ripercorrendo le conclusioni della Commissione d’inchiesta da lui presieduta, «sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate e sta mettendo in serio dubbio la bontà complessiva degli interventi finora realizzati, che sono stati eseguiti non a regola d’arte. Ciò significa che, se non verranno reperiti nuovi fondi per completare sia i marginamenti delle macroisole, sia il sistema di depurazione delle acque di falda, rischiano di essere dispersi tutti gli oneri sinora sostenuti dallo Stato».

Anche il senatore Felice Casson - pubblico ministero ai tempi del mega processo per i morti del Cvm al Petrolchimico, che diede inizio al pagamento volontario dei danni ambientali, prima da parte di Enichem poi di Montedison e in seguito di altre decine e decine di industrie e imprese - si è associato all’allarme sulla compromessa situazione ambientale di Porto Marghera. «Il marginamento deve essere completato o quel che è stato fatto e pagato risulterà inutile se non dannoso», ha detto Casson. «L’altra priorità è approvare la nuova Legge Speciale per Venezia con incluso il sito di interesse nazionale di Porto Marghera e una deroga per conferire le competenze necessarie ad un’autorità territoriale da individuare». Gianfranco Bettin ha insistito sulla necessità di individuare, in armonia con la nuova Legge Speciale, un «tavolo e una cabina di regia locale per completare la messa in sicurezza della laguna, ma anche per avviare le bonifiche e attirare nuove iniziative imprenditoriali capaci di rigenerare le aree di Porto Marghera».

Le conclusioni della Commissione d’inchiesta parlamentare parlano chiaro. Per completare la “grande muraglia” - già costata 780 milioni e lunga 44 chilometri - del marginamento con palancole di metallo e una canaletta di raccolta delle acque contaminate «mancano solo tre chilometri, tutti interessati dai sottoattraversamenti con tubazioni di Edison, Syndial, Sapio/Crion, dell’oleodotto e dell’impianto antincendio della Ies di Mantova, lungo la sponda Sud del Canale Industriale Ovest della macroisola del Nuovo Petrolchimico. Mancano anche i marginamenti relativi alla sponda nord del canale industriale nord, che contermina l’area relativa alla zona industriale, dove sono attive produzioni chimiche, con residui di lavorazioni inquinanti (Montecatini, Agrimont), che risulta non ancora protetta, così vanificando il raggiungimento dell’obiettivo proposto di impedire lo sversamento nei canali lagunari delle acque provenienti dai terreni inquinati del Sin. Soprattutto rimane da effettuare il sistema di raccolta e drenaggio delle acque da depurare al Pif di Fusina». «Tuttavia», aggiunge il rapporto, «a fronte di un 5/6 % di opere di marginamento ancora da eseguire, occorre la complessiva somma di circa 250 milioni di euro, pari ad oltre il 30% di quella sinora sostenuta dallo Stato, per realizzare il 95 % delle opere ad oggi eseguite. La ripartizione delle spese previste per la realizzazione delle opere incompiute sono, rispettivamente, di competenza del Provveditorato (100 milioni di euro), della Regione Veneto (70/80 milioni di euro) e dell’Autorità portuale (76 milioni di euro)».

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