LA MOSTRA / Post-impressionisti alla Guggenheim

In mostra fino al 6 gennaio le avanguardie della Parigi alla fine del XIX secolo: Signac, Bonnard, Redon

VENEZIA. Un viaggio visivo nel “brodo primordiale” delle avanguardie parigine di fine secolo. Quello che, sulla scia dell’Impressionismo, tra le esperienze di neoimpressionisti, Nabis e simbolisti, sfocerà poi nell’esperienza cubista. È questo il cuore della mostra che si apre oggi (e fino al 6 gennaio 2014) alla Collezione Guggenheim di Venezia, con un centinaio di opere tra dipinti, disegni e opere su carta, tutte provenienti in questo caso da collezioni private. Le avanguardie nella Parigi fin de siècle: Signac, Bonnard, Redon e i loro contemporanei - questo il titolo dell’esposizione curata da Vivien Greene, curatrice per l’arte del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo del Guggenheim di New York - si sofferma in particolare sull’ultimo inquieto decennio a cavallo tra Ottocento e Novecento francese, ricco di sconvolgimenti politici ed economici, dove emerge appunto una nuova generazione di artisti che si stacca dall’Impressionismo per delineare le stesse tematiche in modi profondamenti diversi e fortemente antinaturalistici, come sottolinea la stessa Greene.

Ma la mostra veneziana si apre con due sale dedicate ai precursori dei nuovi movimenti, appunto gli Impressionisti, con alcune opere di grandissima qualità. Tra di esse spicca lo strardinario I fantini di Henri de Toulouse-Lautrec, di un realismo cupo e liquido nella materia pittorica, sfiorando appunto la sensibilità impressionista, accanto ad una delle “ninfee” monetiane, a disegni di Degas, a opere di Sisley, Morisot e Renoir tra gli altri. Ma è fin dalla terza sala che la mostra - che segue un andamento non lineare, ma spesso tematico - entra nel vivo, cominciando dal movimento dei Nabis (dalla parola ebraica che significa Profeti) influenzato da Gauguin ma anche dalla bidimensionalità delle stampe giapponesi che allora cominciavano a circolare a Parigi e che vede tra i capofila Maurice Denis di cui sono in esposizione alcune tele intrise di misticismo accanto a grandi pastelli figurativi di Odilon Redon, ancora non entrato nella sua fase simbolista. Ma colpisce, piuttosto, all’interno del movimento, la cupa visione della borghesia parigina in un altro dipinto formidabile di Pierre Bonnard, più avanti, accanto alle stampe dell’artista svizzero Felix Vallotton. Si indaga poi sulla corrente Neoimpressionista - con artisti come Seurat, Signac, Cross, Maximilien Luce (largamente presente in mostra) - e alle teorie scientifiche sul colore e la sua percezione di cui sono portatori e che trasfondono nei paesaggi e nelle scene urbane di cui sono protagonisti. Signac è presente anche con una piccola sezione di vedute veneziane, tra cui una magica e fresca visione dello “sbarco” delle gondole in Riva degli Schiavoni. Quindi, il Simbolismo, nutrito dalle influenze di Gustave Moraeu e Puvis de Chavannes e qui rappresentato soprattutto dallo stesso Odilon Redon, a cui è dedicata una sala di litografie e carboncini pervasa dal suo supremo senso estetico e dai suoi fantasmi. Ma la mostra è anche l’occasione per la rivalutazione di cosiddetti “minori” delle varie correnti, alcuni di grande talento, come il belga Théo Van Rysselberghe, con una poetica visione neoimpressionista del Canale delle Fiandre, che non fa rimpiangere quelle di Seurat.

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