«La magistratura chiarisca i buchi neri sui costi dei lavori: "fatto fuori" chi non stava al gioco»
VENEZIA. Un nuovo esposto sul Mose. E sui comportamenti degli uffici dello Stato, del ministero e del Magistrato alle Acque negli ultimi vent’anni. Lo firma un alto dirigente del ministero delle Infrastrutture. Testimone oculare di tutta la trafila che ha visto diventare il Mose un progetto «operativo». Passato (quasi) indenne a ogni esame tecnico, finanziato dallo Stato con sei miliardi di euro. Federico Cempella, classe 1939, è quello che si potrebbe definire un «servitore dello Stato». «Dirigente integerrimo», lo definiscono i suoi colleghi. Andato in pensione, ha fondato un’associazione di ex dirigenti del Genio Civile che ha come motto «Le buone infrastrutture». Grandi opere «trasparenti», realizzate in regime di concorrenza. Non è proprio il caso del Mose, il sistema di dighe mobili che il Consorzio Venezia Nuova, creato da una legge dello Stato nel 1984, ha realizzato e controllato in regime di monopolio. Cempella chiede ai magistrati di far luce sulle tante «zone grigie» dell’iter del Mose. Solo in parte illuminate dall’inchiesta della magistratura che vede adesso sul banco degli imputati i politici che non hanno patteggiato, quasi tutti accusati di «reati minori» (finanziamento illecito). «C’era la politica, ma c’era anche un sistema impermeabile», racconta Cempella, «chi non era giudicato abbastanza fedele veniva fatto fuori».
E il suo, scrive adesso in una corposa memoria inviata al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e alla Procura veneziana, al ministero e al presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, «può essere considerato come un caso esemplare». Cempella dieci anni fa era il dirigente numero uno del ministero, con la maggiore anzianità. Titoli indiscutibili, esperienza. Provveditore alle Opere pubbliche del Friuli, si era visto scavalcare per il posto di Magistrato alle Acque da Maria Giovanna Piva, astro nascente sostenuta dalla Regione di Galan e dal governo Berlusconi, in particolare dal ministro Pietro Lunardi. Sul nome di Cempella qualcuno aveva posto il veto. Forse per via di quel parere non proprio favorevole inviato qualche anno prima al Consiglio superiore dei Lavori pubblici sul progetto Mose. O per il suo carattere. «Persona chiaramente indipendente, difficilmente gestibile dalla politica», dice un suo collega dell’epoca. A Cempella era stata preferita Maria Giovanna Piva anche quando si era trattato di nominare il Provveditore del Triveneto. E adesso il dirigente chiede giustizia. Lo aveva fatto qualche anno fa con un esposto poi archiviato dalla Procura di Pordenone sulla diga di Ravedis e il Consorzio Cellina-Meduna.
«Chiedo di far luce su un sistema che aveva troppi buchi neri. Con gli arresti del 4 giugno 2014 si sono capite molte cose». Una, indiscutibile, è che fino all’inizio del 2013 il bastone del comando era saldamente in mano al padre-padrone del Consorzio, l’ingegnere Giovanni Mazzacurati. È lui, che adesso abita in California, il principale teste che accusa il sindaco Orsoni di aver ricevuto somme per finanziare la campagna elettorale. Il Consorzio del resto finanziava tutti. Maggioranza e opposizione, istituzioni culturali come la Fenice e il Marcianum del cardinale Scola, convegni, studi e consulenti. Libri e riviste, filmati in stile «Istituto Luce». Una gran mole di fondi a disposizione: il 12 per cento dei lavori, circa 700 milioni di euro, senza contare i proventi delle evasioni fiscali e il «nero». Solo qualche voce contraria, come quella di Massimo Cacciari. L’ex sindaco aveva votato contro nel Comitatone che aveva dato il via ai lavori bocciando le alternative proposte dal Comune. Gli altri, plaudenti. Da Berlusconi a Prodi, da Forza Italia a buona parte del Pd. «Gli organismi tecnici approvavano tutto o quasi», ricorda Cempella. Nel Comitato tecnico di Magistratura si dava il parere preventivo ai progetti. 40 persone sotto la presidenza del dirigente del Magistrato alle Acque – Patrizio Cuccioletta e la stessa Piva – con prescrizioni che venivano poi facilmente superate. Adesso, dopo gli arresti, il Consorzio è governato da tre commissari scelti da Cantone e nominati dal prefetto di Roma. Luigi Magistro, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola stanno sollevando il velo sulle ombre del Mose. Le spese «extra» sono state ridotte da 45 a 15 milioni l’anno, gli appalti «sospetti» segnalati alla Procura. Ma la strada è ancora lunga.
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