La grinta di Bebe Vio conquista Jesolo «La vita è una figata»
JESOLO. «Da bambina ho capito che potevo fare tutto quello che volevo davvero». Non è certo un capriccio infantile, ma la determinazione di una ragazza che nella vita ha dovuto affrontare di tutto. A Jesolo per presentare il suo libro (Mi hanno regalato un sogno. La scherma, lo spritz e le paralimpiadi, edito da Rizzoli) Bebe Vio è stata ospite all’hotel Almar di Jesolo per raccontare ai ragazzi delle medie la sua vita e le sue imprese sportive oltre ogni limite. Dal 2011 Bebe ha vinto tutti i più importanti tornei di scherma, dai campionati nazionali agli Europei, Mondiali, Olimpiadi. Nel 2008, quando aveva undici anni, fu colpita da una grave meningite, che costrinse i medici ad amputarle gambe e braccia pur di tenerla in vita. Aveva iniziato a praticare scherma a 5 anni e mezzo e da allora non si è più fermata, contro la malattia, i pregiudizi, gli ostacoli quotidiani, che sono stati i veri avversari, prima che in pedana con il suo fioretto.
È guarita e diventata la prima schermitrice disabile al mondo a gareggiare con quattro protesi artificiali fino a vincere le paralimpiadi a Rio. Ha portato la fiaccola, commovente tedofora, è stata portabandiera dell’Italia. E ieri era su un palco a parlare a dei ragazzini incantati che mai forse nella vita ascolteranno con tale silenzio, formuleranno domande tanto interessate. Fino a quando una bimba disabile è salita sul palco con Bebe e la campionessa si è tolta una protesi per fargliela vedere. Bebe ha raccontato la sua vita, dalla malattia fino ai successi e la vita di una star che ha potuto scattare un selfie con Obama alla Casa Bianca. «Ma prima di tutto c’è la scuola», ha detto ai ragazzi, «se non fossi stata promossa non avrei mai partecipato alle Olimpiadi. Ho studiato grafica a Mestre, ora uno stage a “Fabrica” poi andrò all’università, comunicazione d’impresa. Studiare è importantissimo».
Il suo segreto contro le avversità è semplice: «Bisogna ridere tanto, non prendersi troppo sul serio. Io sono anche rissosa, ma con le avversarie siamo sempre state amiche e ci siamo abbracciate». E, infatti, racconta di quando aveva tutto, intendendo braccia e gambe, e di quando le ha perse. Lo fa con naturalezza disarmante, il linguaggio colorito dei ragazzi. Ha ricordato quando ha indossato il vestito lungo e le scarpe con il tacco: «Voi siete ancora cuccioli», dice, «ma vi capiterà. Nel mio caso è un po’ come la Barbie che ha i piedi di plastica e deve indossare le scarpe in base a quelli. Anche io ho tante protesi a seconda della necessità». E ha risposto alle tante domande, anche banali, come sul cibo preferito: «Adoro il sushi, poi la carbonara che fa mia sorella». Tra colpi di fioretto e sciabolate, due ore sono filate veloci per dire ai ragazzi che sì, “la vita è proprio una figata”. Parola di Bebe.
Giovanni Cagnassi
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