La frode del vino, tre arresti e 60 indagati
VENEZIA. È partita da un controllo all’interno di un’azienda vinicola trevigiana, la Vigna Dogarina con sede a Salgareda, la maxi inchiesta della Procura di Asti che ieri ha portato all’arresto di tre persone, tutte piemontesi, al provvedimento dell’obbligo di dimora per altre due e il sequestro per equivalente di oltre 23 milioni di euro. I cinque, secondo l’accusa, avrebbero messo in piedi un’associazione a delinquere transnazionale, finalizzata all’evasione fiscale, alla frode in commercio per migliaia di bottiglie di vino e al riciclaggio.
L’inchiesta ha preso il via tre anni fa circa quando la Guardia di Finanza, in seguito ad una verifica, aveva trovato nell’azienda vinicola Vigna Dogarina quasi 90.000 bottiglie di Sauvignon e Ribolla falsamente etichettati come Igt. Da qui sono poi risaliti alle menti dell’organizzazione. Nell’ambito dell’indagine della Finanza sono quindi state eseguite, in tutto il territorio nazionale, perquisizioni e acquisizioni documentali nei confronti di ulteriori soggetti coinvolti nella frode, in cui sono complessivamente indagate 60 persone. L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Asti, è stata originata da una verifica fiscale, avviata nei confronti di un’azienda agricola trevigiana, risultata aver imbottigliato e immesso in consumo, in ambito nazionale e comunitario, vini bianchi, rossi e rosati da tavola falsamente etichettati “Igt”. Dai successivi riscontri di polizia giudiziaria è stato appurato che oltre 254 mila bottiglie di vino erano state cedute a un’impresa del Cuneese che, a propria volta, le aveva distribuite sui mercati italiano e nordeuropeo con altro vino dalle medesime caratteristiche reperito da altri operatori.
Le perquisizioni eseguite nei confronti della rete di società risultate coinvolte hanno permesso di sequestrare, nel complesso, circa 150 mila bottiglie di vino fraudolentemente etichettate Doc e/o Igt, nonché documentazione contabile ed extracontabile attestante il trasporto di ingenti quantitativi di vino verso il Regno Unito, il Belgio e la Germania.
Con approfondimenti contabili e indagini finanziarie i finanzieri hanno poi ricostruito la filiera illecita e i sistemi di frode utilizzati per immettere in consumo vino, birra e superalcolici in evasione d’imposta. Sul fronte italiano, le imprese produttrici operavano la cessione di modesti quantitativi di vino a operatori economici compiacenti, emettendo regolare documento di trasporto e fattura con applicazione dell’Iva. A queste stesse ditte, in realtà, il vino veniva ceduto “in nero” in quantità ben maggiori, grazie all’interposizione di imprese virtuali alle quali il prodotto veniva fittiziamente venduto con false fatture. Per le cessioni di prodotto all’estero, invece, veniva predisposto il documento univoco di accompagnamento prescritto dalla normativa in materia di accise per i trasporti di prodotti alcolici. Se, durante il tragitto per raggiungere la destinazione, il carico non aveva subito controlli delle autorità, la merce veniva dirottata, in evasione di Iva e accise, presso siti di stoccaggio di soggetti terzi complici dell’acquirente comunitario.
Lì, il documento di trasporto predisposto veniva sostituito con altro attestante la cessione di pasta fresca, alimentari o succhi di frutta, gravati da imposizione fiscale molto minore rispetto a quella prevista nei Paesi nord-europei per i prodotti alcolici.
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