La fornitrice di Scotland Yard: «Sotto choc ma non fuggiamo»

Maria Cristina Gribaudi, ad Keyline a Conegliano e presidente dei Musei Civici di Venezia:
«Ora serviranno nuove regole e accordi, purtroppo a rimetterci saranno i nostri giovani»
Maria Cristina Gribaudi, imprenditrice della Keyline e presidente dei musei civici di Venezia
Maria Cristina Gribaudi, imprenditrice della Keyline e presidente dei musei civici di Venezia

VENEZIA «È stato come forzare un punto e chiederci di andare a capo. Ma credo che ora, ciò che ci può salvare, sia solo un atteggiamento serio. Lo dobbiamo alle nuove generazioni cresciute a pane ed Erasmus. Gli abbiamo solo offerto scandali, chiusure, paura anziché la libertà di girare e lavorare nel mondo».

Maria Cristina Gribaudi è un’imprenditrice, una moglie e una madre. Presidente dei Musei Civici di Venezia, consigliere indipendente nella quotata H-Farm, nel board di Friuladria (Gruppo Crédit Agricole) e prima di tutto, amministratrice unica della Keyline di Conegliano che produce chiavi e macchine duplicatrici. Le prime, annoverano tra i clienti anche Scotland Yard, la polizia della Grande Londra.

La vittoria del “leave” è stata uno choc? «Sono atterrata l’altra notte a Venezia con un volo in ritardo e la prima cosa che ho fatto è stata guardare le notizie. Mi aspettavo vincesse il “remain” perché sono una persona ottimista e perché era difficile immaginare una scelta così folle. Speravo nel buon senso. I giornali di carta davano la Gran Bretagna ancora dentro l’Ue. Poi ho visto il tg a casa e sono rimasta senza fiato: ho pensato a una regressione. Sono tornata agli anni Cinquanta, a quando sono nata e alle difficoltà che c’erano allora».

Teme questa regressione per i suoi figli? «I miei figli vivono in America, Cina e Inghilterra: ci siamo sentiti subito via chat, sono tutti sconvolti dal voto. Hanno tutti studiato in Inghilterra, quella è la nostra seconda casa da vent’anni. Ci mettiamo due ore di volo e hanno tantissimi ragazzi italiani amici emigrati perché Londra è un punto di riferimento per i giovani. Ora non sanno cosa succederà, ma non possono pensare di tornare indietro. I miei sono figli del mondo, sono i giovani dell'Erasmus. E Londra non è una città ostile ma accogliente».

E il business della vostra azienda, quali contraccolpi verso i clienti inglesi e quel mercato? «Ora non bisogna perdere la testa ma avere un approccio professionale, perché se è vero che c'è stato un voto, e hanno vinto loro, i “leave”, è anche vero che c’è una parte di Inghilterra che voleva restare in Europa. Bisogna dare segni chiari e non cadere nel panico».

Non temete dazi, restrizioni, cambi delle regole? «Ci saranno nuovi dazi, spero non troppo elevati ma non possiamo non servire i nostri clienti. I nostri governi dovranno gestire questa situazione e permetterci di inserirci in questo territorio. Ora serve fare quadrato con clienti e distributori. Mia figlia, che sta seguendo proprio questi mercati, è già partita con un aereo per Manchester, dove abbiamo la filiale, per rassicurare e parlare con i clienti perché continueremo a dare i nostri servizi».

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Cosa la preoccupa di più? «L'impatto emotivo, specie nelle nuove generazioni. Londra appartiene a tutto il mondo ma l'approccio potrebbe cambiare: i ragazzi potrebbero studiare o scegliere altri Paesi, avere la percezione di essere in un Paese ostile. Serviranno regole e accordi precisi sull'immigrazione. E gli inglesi sono i privi a voler vedere il resto del mondo».

Sposterete la filiale britannica? «No, serve sangue freddo ma non muoviamo nulla, anzi stiamo dando segnali di grande stabilità e invito tutti a non prendere decisioni di pancia anche se, a breve, potrebbero sembrare le migliori».

Quanto potrebbe danneggiarvi una situazione di non chiarezza e instabilità come quella che si potrebbe aprire? «L’instabilità dei mercati e della moneta può danneggiare le imprese e l'export. E' come l’11 settembre, non l'avevamo previsto: siamo davanti a qualcosa di inaspettato e contro natura. Dobbiamo prepararci a delle ripercussioni. Ma non può essere la fuga come accadde con la delocalizzazione, la soluzione. Noi non abbiamo mai delocalizzato».

C’è chi dice che ora l’Europa ha un’opportunità, quella di riformarsi. Lei cosa chiede all’Unione? «Che tutti i Paesi europei capiscano cosa vuol dire fare parte di una comunità. L'Europa va rimmaginata e adattata con regole più precise: serve un ragionamento europeo ma in chiave americana, quello dovrebbe essere il modello federale a cui tendere». Da presidente dei Musei civici, la cultura può riunire Venezia e Londra? «Ora più che mai la cultura, e chi diffonde cultura come la Fondazione, devono dare un messaggio forte di coesione europea: noi abbiamo rapporti con molti musei mondiali e anche inglesi. Stamani ho sentito la direttrice Gabriella Belli e la linea è “andiamo avanti perché la cultura unisce”. Anche una mostra deve offrire costantemente opportunità di inclusione. Anche questo lo dobbiamo alle nuove generazioni

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