La figlia vuole centomila euro per assistere la madre malata

Jesolo. Il tribunale ha respinto la richiesta avanzata dalla donna che aveva pattuito uno stipendio. Due sorelle erano d’accordo nel pagamento, ma si sono opposti con successo un fratello e una nipote
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 16.05.2014.- Cittadella della Giustizia, Piazzale Roma
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 16.05.2014.- Cittadella della Giustizia, Piazzale Roma

JESOLO. Figlia cita in giudizio la famiglia, ma viene condannata. In una nota famiglia di albergatori jesolani si è consumato questo scontro tra fratelli e nipoti che ha avuto dei risvolti giuridici. Una donna aveva fatto da badante all’anziana madre, ma poi aveva anche preteso il pagamento di centomila euro per il suo lavoro in tanti anni. Richiesta infine bocciata dal giudice per la sua parentela stretta, che non poteva sottendere un vero e proprio rapporto di lavoro.

Si è da poco conclusa la vicenda giudiziaria iniziata nel 2014, quando la figlia ha citato in giudizio il fratello, le sorelle e anche una nipote per ottenere il pagamento della retribuzione secondo lei dovuta per l’assistenza prestata all’anziana madre. Secondo la donna, E.T., che abitava assieme alla madre, tutta la famiglia si era impegnata a corrisponderle uno “stipendio” mensile per le sue prestazioni di assistenza. Un vero e proprio accordo , a detta della figlia E.T. , che il Tribunale di Venezia però non ha riconosciuto. Si sono costituite in giudizio anche due sorelle di E.T. appoggiando in pieno la richiesta di quest’ultima e dichiarandosi addirittura disposte al pagamento della loro quota parte dei centomila euro richiesti. Ma un fratello e una nipote, chiamati in causa, hanno deciso di resistere alla richiesta ritenuta ingiusta e si sono affidati all’avvocato Luca Pavanetto di San Donà.

È iniziata così una estenuante trafila di atti e testi nelle aule di giustizia di Venezia, per far valere le proprie ragioni. Accogliendo le tesi del fratello e della nipote, il giudice ha sancito che la figlia avesse assunto in maniera del tutto spontanea il lavoro di assistenza a favore della madre. E per questo motivo non aveva diritto ad alcun compenso economico. Il lavoro in ambito familiare, secondo la legge viene presunto gratuito ed è privo dei requisiti tipici della subordinazione.

«Un importante riconoscimento», ha commentato l’avvocato Pavanetto, «questa sentenza, oltre ad accogliere le ragioni dei miei assistiti, è prima di tutto un riconoscimento alla memoria e al ricordo della madre purtroppo scomparsa. Il giudice ha dettato i criteri fondamentali per distinguere il lavoro vero e proprio da un impegno familiare assunto in maniera spontanea, a favore di un genitore. È una questione di stretta attualità poiché troppe volte gli anziani che meriterebbero solo affetto e cure amorevoli , diventano il centro di avvilenti contese economiche».

Giovanni Cagnassi

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