"La figlia di Maniero è stata uccisa": il boss della Riviera e la pista delle armi per le Seychelles

Parla dal carcere  a "Report" di Giancarlo Carpi ha collegamenti con la Legione Brenno e la banda della Magliana
Elena Maniero
Elena Maniero

VENEZIA. Si chiama Giancarlo Carpi, ma possiamo ribattezzarlo Brenno. Padovano, di mestiere camionista, forse. Specializzazione vera: traffico internazionale d’armi. Inventore con altri della “Legione Brenno’’, una struttura paramilitare segreta che negli anni Novanta partecipa alla guerra dei Balcani. Reclutando e istruendo volontari, i famosi «contractors» perché le armi prima si vendono ma dopo bisogna saperle usare.

L’ambiente ideale di Carpi è l’estrema destra, ma ha contatti anche con la mala del Brenta, la banda che fu di Felice Maniero. Succede quando va dentro e fuori dal carcere. Sono contatti che rimangono. Lo si vede oggi che Giancarlo Carpi detto Brenno torna alla ribalta, al centro di un’inchiesta della procura di Napoli per traffico d’armi e addestramento di contracts, con base alle Seychelles. Con lui torna in pista Aldo Pavan, un imprenditore di San Donà con precedenti per traffico di droga: incastrato al rientro da Bangkok – si difese al tempo – da uno sconosciuto che gli aveva rifilato tra i bagagli una borsa con 4 chili di eroina. Pavan ha anche precedenti per armi: in casa sua la squadra mobile veneziana gli trovò 12 pistole, duemila proiettili e un silenziatore. Raccontò che servivano per il tiro a segno.

Felice Maniero al tempo dell'arresto
Felice Maniero al tempo dell'arresto

La polizia pensava invece che la sua malconcia attività di import-export con l’Estremo Oriente, gestita con un socio e basata prima sui pesci e poi sul legname, avesse trovato improvvisa floridezza nel commercio delle armi. Altro veneto coinvolto sarebbe un veronese, ex ambasciatore in Armenia, utilizzato per contattare i fornitori. Non mancano collegamenti con personaggi della banda della Magliana. Tutta gente d’esperienza, inserita in un giro che coinvolgerebbe anche un dirigente di un grosso ente di Stato. La magistratura ha disposto una trentina di perquisizioni in tutta Italia. Per il momento l’unica cosa chiara è la partenza dell’inchiesta dal Veneto ad opera della Guardia di Finanza. I militari, che seguivano Carpi per altri motivi, lo registrano a Firenze mentre prende contatti con due persone. Dal bar al ristorante, l’incontro va per le lunghe. Si direbbe una trattativa, che insospettisce. Uno dei tre è somalo. Viene identificato come un personaggio con notevoli disponibilità economiche. Sta cercando addestratori per un gruppo di contractors già reclutati nell’area. Il punto di convergenza dovrebbero essere le Seychelles. Buco nella ricostruzione. C’è un salto di centinaia di chilometri, le indagini si spostano a Napoli. Qui viene redatto il primo rapporto per la magistratura. Ma la procura non trova elementi concreti per procedere. Il rapporto finisce in un cassetto.

L'arresto di Giancarlo Carpi, 1998
L'arresto di Giancarlo Carpi, 1998

Gennaio 2015, attentato alla sede del settimanale Charlie Hebdo a Parigi, con 12 morti. In tutta Europa le forze dell’ordine vengono messe sotto pressione. La procura di Napoli si ricorda del fascicolo, ripartono le indagini. Arriviamo a oggi. Il caso vuole che sulle tracce di Giancarlo Carpi ci sia anche l’inviato della trasmissione Report, Sigfrido Ranucci. A quanto pare, Brenno parla a ruota libera con il giornalista, senza sapere che come al solito lo sta registrando. Il servizio verrà messo in onda domenica sera, su Rai Tre. Dovrebbe tracciare un quadro più chiaro. Ma potevano magistratura e Guardia di Finanza farsi superare in corsa dalla tv? Oggi a Napoli è attesa una conferenza stampa, che costringerà Ranucci a riassestare il servizio probabilmente già pronto.

Non occorre aspettarla, per avere un’anticipazione che riguarda il Veneto. Si riferisce alla figlia di Felice Maniero. Si chiamava Elena, aveva trent’anni. Una ragazza bionda, alta, molto bella. Giaceva sul selciato, precipitata dalla finestra dell’appartamento mansardato al sesto piano dove abitava, nel centro di Pescara. Era il 24 febbraio 2006. Quando arrivò sul posto Felix piangeva e urlava: «Me l’hanno uccisa» . I vecchi complici di Maniero, diventato collaboratore di giustizia? La polizia archiviò la morte come suicidio per ragioni sentimentali. Anche il padre si convinse. Oggi una nuova verità emerge: Carpi racconta che in uno dei suoi soggiorni nel carcere Due Palazzi di Padova, aveva ascoltato tre della mala del Brenta che discutevano sull’assassinio di una persona. Doveva essere una vendetta per Felice Maniero, il boss che li aveva traditi, ma non erano d’accordo su chi ammazzare. Il giorno dopo Elena fu trovata esanime, sotto la finestra del sesto piano. Ma come tutte le storie mai finite di cronaca nera, Felice Maniero, il primo che urlò all’assassinio, oggi non ci crede.

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