La coop San Martino di Chioggia sospettata di favori a Cosa Nostra
VENEZIA. Questa volta l’accusa è pesante e davvero disonorevole: aver agevolato Cosa Nostra. Per la verità, hanno conosciuto già il carcere i vertici della Cooperativa San Martino di Chioggia nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione per il Mose, ma ne sono usciti in fretta - patteggiando - sia Mario Boscolo Bacheto, che è morto da un anno, che il figlio Stefano (due anni di reclusione con la condizionale). Ma ora l’ordinanza interdittiva firmata dal prefetto di Venezia Domenico Cuttaia, che gli impedisce di partecipare ad appalti pubblici, sostiene che la loro società «in più contesti lavorativi, in particolare in Sicilia, ha avuto rapporti con la criminalità organizzata di stampo mafioso».
Addirittura con imprenditori, i trapanesi Francesco e Stefano Morici (padre e figlio), «ritenuti legati a Matteo Messina Denaro», il super latitante a capo di Cosa Nostra. I Boscolo non ci stanno e hanno mobilitato i loro legali, gli avvocati Antonio Franchini, Angelo Clarizia e Stefano Giordano, che hanno presentato subito un ricorso, perciò i giudici del Tribunale amministrativo del Veneto discuteranno in camera di consiglio se sospendere o meno il provvedimento del prefetto lagunare mercoledì 8 giugno. I legali sono convinti di farcela perché affermano di aver in mano due carte da giocare che il prefetto di Venezia - e coloro che gli hanno presentato il dossier per far scattare l’interdittiva - non conoscevano.
Si legge nelle motivazioni che i provvedimenti giudiziari e le informative degli organi investigativi «danno vita ad un quadro indiziario complessivo tale da ritenere che sussistano concreti elementi da cui risulta che l’attività d’impresa della San Martino possa agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata». Il Tribunale di Trapani sostiene che gli elementi raccolti portano «a collocare la società nelle categorie dei così detti imprenditori strumentali, i quali cercano con la mafia un accordo non continuativo, ma limitato nel tempo e definito nei contenuti, negoziando caso per caso».
I chioggiotti avrebbero formato un ’associazione temporanea con le imprese dei trapanesi Morici per ottenere commesse per 46 milioni nel Porto di Trapani e solo grazie alla San Martino «i Morici hanno avuto la possibilità di conseguire i requisiti necessari alla partecipazione alle gare». Inoltre, avrebbero costituito un’altro consorzio d’imprese con i fratelli Pietro, Domenico e Antonio Mollica, sospettati di collusioni mafiose e indicati come tali dal collaboratore Angelo Siino, prima considerato il ministro dei Lavori pubblici di Totò Riina per gli interventi da 34 milioni nel porto di Augusta.
Gli avvocati Franchini, Giordano e Clarizia, però, hanno consegnato al Tar un decreto della Corte d’appello di Palermo che ha annullato la confisca dei beni delle imprese dei Morici e della San Martino, scrivendo che «non è possibile cogliere come la condotta dei Morici avrebbe assunto profili mafiosi e poi come essi si sarebbero palesati alle altre società coinvolte, i cui titolari potrebbero avere semmai solo in concorso in fatti afferenti al perseguimento dei profitti, attraverso condotte spregiudicate e delittuose, ben possono essere attuate anche in Sicilia al di fuori di cointeressenze mafiose». Per quanto riguarda i lavori ad Augusta, invece, esiste una sentenza del Tar Lazio che annulla l’interdittiva del prefetto di Roma per un’impresa che faceva parte del consorzio capeggiato dai Mollica.
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