La Caritas di Venezia non accetta più i vestiti: «Erano logori e sporchi o inadatti»

Gonne di pizzo o cenci che finivano nell’immondizia: stop alla raccolta di capi d’abbigliamento per i poveri

Maria Ducoli
Il cartello appeso alle porte della Caritas di Venezia: basta abiti
Il cartello appeso alle porte della Caritas di Venezia: basta abiti

 

Gonne che sono batuffoli di tulle e pizzo, scarpe col tacco, completini da bambino, ma anche abiti elegantissimi e altri troppo logori per avere destinazioni diverse del cestino dello sporco, lasciati a Venezia fuori da Casa San Giuseppe, mensa della Caritas a Castello.

L’istituzione della Diocesi, oberata dalla quantità di indumenti donati dalla popolazione e lasciati fuori dalla struttura a due passi dall’Arsenale ha appeso un cartello sulla porta, scritto in grandi lettere rosse: «Non si accettano più indumenti».

Perché non si accettano abiti

Il motivo lo spiega Franco Sensini, direttore dell’istituzione: «Siamo pieni di vestiti donati, non riusciamo più a smaltirli, anche perché spesso non sono adatti alla nostra tipologia di utenza».

Quegli abiti eleganti, quelle gonne vaporose o le magliette striminzite, infatti, non vanno bene per i senza tetto che si rivolgono alla Caritas. «Servono giubbotti, indumenti pesanti e scarpe comode, questi sono i vestiti che mettono le persone che vivono in strada».

In centro storico, tra l’altro, gli utenti che si affacciano alle porte della Caritas sono soprattutto uomini di una certa età, perciò buona parte dei vestiti ricevuti, non è utilizzabile.

«Per questa ragione, spesso tutto quello che ha a che fare con donne e bambini, giocattoli compresi, lo mandiamo al Lido, da don Renato Mazzuia che si occupa di distribuirli tra le persone bisognose dell’isola. Abbiamo, poi, organizzato dei mercatini dell’usato per cercare di vederli, così da evitare lo spreco da una parte e, dall’altra, raccogliere fondi per i poveri».

La fast fashion

Per Sensini, infatti, la gara di solidarietà si intreccia anche al tema dell’economia circolare, dello spreco, della fast fashion, quella moda che produce capi d’abbigliamento rapidamente e a basso costo, sfruttando la manodopera e, spesso, danneggiando anche l’ambiente.

«È fondamentale evitare lo spreco, sia per il danno che si produce nei confronti dell’ecosistema, che per lo sfruttamento della manodopera» ribadisce Sensini, ricordando che, tra l’altro, non è Casa San Giuseppe la sede per il raccoglimento degli abiti, ma la Tana, davanti all’Arsenale.

«Sia chiaro, è positivo che ci portino i vestiti, la solidarietà della comunità è sempre bella, ma il problema è che spesso non vengono selezionati, alcuni sono inadatti e altri sono logori, da buttar via. Cerchiamo di salvare il salvabile».

I bisogni reali

D’altronde, il bisogno di aiuto non manca e, anzi, sono aumentate le persone che si sono rivolte alla Caritas negli ultimi anni. «Ora dobbiamo cercare uno spazio per garantire il servizio delle docce anche in estate, visto che le due presenti alla Tana verranno chiuse per il progetto di ristrutturazione della struttura» anticipa Sensini, aggiungendo che non ci sono ancora cronoprogrammi certi, ma sicuramente avverrà entro l’inizio dell’estate.

Per questo, la Caritas si sta già muovendo per trovare una soluzione alternativa, anche perché il servizio è molto frequentato: nel 2024 sono stati circa 860 gli utilizzi da parte delle persone bisognose solite a frequentare la Tana. «Un servizio importante, vicino al dormitorio, che deve essere garantito soprattutto con caldo» ribadisce il direttore che confida di avere presto una soluzione per garantire la possibilità di utilizzare le docce. —

 

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