La carica delle commesse: «Ridateci le domeniche in famiglia»
Al grido «La domenica non si vende» hanno sfilato in un corteo lungo le vie di Treviso costellate di vetrine illuminate e serrande alzate.
Il movimento veneto dei commessi, delle commesse e delle loro famiglie che si oppone alle aperture domenicali e che in questi giorni ha catalizzato l’interesse di mezza Italia ha fatto sentire la sua voce ieri pomeriggio a Treviso: un nutrito corteo di oltre un centinaio di persone, fra cui molte veneziane, cartelli alla mano e slogan nel megafono, è partito da Ponte San Martino per continuare lungo Corso del popolo, fino a radunarsi sotto la Loggia dei Cavalieri. Erano i mariti e i figli delle donne che ieri pomeriggio, invece, stavano lavorando, erano le commesse e i commessi che hanno deciso di utilizzare la rara domenica libera per far sentire il disagio di un’intera categoria.
Alcune di loro sono venute con i figli, come Nadia Ciuffa, commessa da 14 anni: «È stata mia figlia a chiedermi di venire, altrimenti avrebbe passato l’ennesima domenica senza di me. Noi non diciamo che non vogliamo lavorare, anzi, ma la domenica è sacrificio, conciliare il lavoro e la famiglia sta diventando impossibile. La domenica deve essere un giorno di riposo». La richiesta è chiara: tornare alla vecchia normativa, con 12 domeniche di apertura stabilite, tranne le eccezioni legate alle zone turistiche. Basta esercizi commerciali aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, come è previsto dal decreto Salva Italia. Perché, come recitava ieri lo striscione a capo del corteo, «La domenica svuotiamo i carrelli e riempiamo i cervelli».
«Ormai sono molti mesi che io e mia moglie, commessa, non ci vediamo più la domenica», dice Michele Sasso, che ieri ha deciso di scendere in piazza mentre la moglie stava lavorando, «Non è una situazione sostenibile: vogliamo che qualche cosa cambi». Carolina Battistella ieri era incaricata di raccogliere le firme per la petizione che verrà presentata a Roma il 7 novembre, quando la Corte Costituzionale sarà chiamata a decidere sul ricorso presentato dalla Regione contro il decreto Salva Italia di Monti sulle aperture domenicali: «Faccio la commessa da 28 anni: che senso ha lavorare 7 giorni su 7 quando poi in busta paga a fine mese troviamo al massimo 15 euro in più? Questa è solo una manovra del governo per svuotare il portafoglio degli italiani, anche se più vuoto di così …».
Poi ci sono marito e moglie, stesso slogan sulla pettorina, lui è stanco di non trascorrere mai del tempo con la compagna: «Alla fine siamo una coppia divisa in casa: il weekend io sono a casa e lei, commessa, lavora. Poi quando lei è di riposo durante la settimana io non ci sono», spiega Remigio De Gasperi, «Ognuno a turno si occupa dei figli: ma io voglio passare del tempo libero con mia moglie. Altrimenti sembra che io stia con una badante».
E Arianna, la moglie, aggiunge: «E poi che senso ha tenere aperto? La gente va nei centri commerciali per passeggiare, mica compra. E allora che vadano a farsi una bella passeggiata all’aperto con la loro famiglia».
Il movimento fin dall’inizio ha avuto anche l’appoggio da parte della Chiesa. Ieri hanno preso parte al corteo anche don Enrico Torta, parroco di Dese, e don Canuto Toso: «Stanno mettendo il benessere materiale davanti alla famiglia che giù in questi tempi si sta sgretolando», ha dichiarato don Canuto, «sostengo a pieno la tesi di questo gruppo».
«Commessi e commesse vengono trattati come rotelle di un ingranaggio per la produzione e il consumo», ha aggiunto Don Torta, «la domenica è un giorno di recupero a tutti i livelli, e invece ci portano a girare frastornati per supermercati come zombie».
Soddisfatta per l’esito dell’iniziativa la pasionaria Tiziana D’Andrea che, in queste settimane, ha tenuto le fila del movimento: «Fino all’ultimo momento non sapevamo quale sarebbe stato il grado di adesione», spiega la D’Andrea, «e invece il bilancio è ottimo se si considera che pesa molto la paura di molti dipendenti circa possibili ritorsioni da parte dei loro titolari. Inoltre è una categoria che culturalmente non è mai stata abituata a manifestare. Ma non ci fermiamo qui». Gli iscritti al movimento stanno infatti organizzando un sit-in a Roma per il 7 novembre quando la Corte Costituzionale sarà chiamata a decidere sul ricorso della Regione Veneto.
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