La biografia di Carlo Azeglio Ciampi

Carlo Azeglio Ciampi rileggeva spesso le pagine del suo maestro all’Università di Pisa, il filosofo del liberalsocialismo Guido Calogero, antifascista, assertore per tutta la vita delle idee di libertà e di giustizia. Con lui aveva studiato per la prima laurea, in Lettere e filosofia e quell’imprinting ha conservato per tutta la lunga esistenza, in Banca d’Italia e in politica. Con lui scompare una delle figure “di frontiera” che hanno concorso in modo decisivo a traghettare l’Italia dalla spaventosa inflazione in doppia cifra all’abbattimento della stessa, ad risanamento gigantesco e al conseguimento, infine, degli standard per poter entrare in Europa, nell’euro, con un cambio che non soffocasse le imprese italiane.
Doveva vivere l’esistenza tranquilla e normale di un insegnante di lettere al liceo della sua città, Livorno, e invece, anche su sollecitazione della moglie, Franca Pilla, una reggiana energica, sua coetanea piena, conosciuta alla Normale quando avevano 18 anni, prese una seconda laurea in Giurisprudenza (con una tesi significativa sulla tutela delle minoranze religiose nella Costituzione italiana) e decise di puntare alla Banca d’Italia. L’uomo di lettere sarebbe diventato uomo di numeri. Qui c’entra la tempra del livornese, cresciuto in una città speciale, martoriata dalle bombe e però orgogliosa del suo porto, del suo carattere forte, differente dalle altre città toscane. “Io sono nato in una città di mare e so che, quando soffia il libeccio, va avanti per tre giorni. Poi ce ne vogliono altri tre perché il mare si plachi”. Una massima di vita.
Una scelta risoluta, del resto, il ventitreenne tenente Ciampi l’aveva compiuta l’8 settembre del ’43, rifiutando di aderire alla RSI e rifugiandosi a Scanno, in Abruzzo, confino politico del suo maestro, Guido Calogero, del quale avrebbe portato a Bari, all’editore Laterza, attraversando le linee, il saggio sul liberalismo. Si sarebbe così unito all’esercito del Sud. Tornato a Livorno aveva fondato una sezione del Partito d’Azione, capendo presto che la politica, almeno allora, non era per lui.
Sposatosi nel 1946 con la compagna degli anni pisani, cominciò in Banca d’Italia la lunga trafila, da impiegato, in giro per le filiali provinciali. Poi, nel 1970, la guida dell’ufficio studi e tre anni dopo la direzione generale. Nel 1979 la grande svolta, dopo le amare dimissioni di un grande governatore, Paolo Baffi: la vetta di Bankitalia, a 59 anni. In tempi economicamente e politicamente terribili, fra terrorismo, crisi finanziarie, inflazione galoppante, schock petroliferi e speculazioni monetarie connesse. Nel 1981 Ciampi sollecitò l’entrata dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo, embrione del futuro Trattato di Maastricht e dello stesso euro, primo riparo dall’inflazione e dalle svalutazioni ricorrenti. Per raffreddare il caro-vita ci volle però la decisione del governo Craxi di tagliare 3 punti di contingenza affrontando nell’85 l’infuocato referendum abrogativo voluto dal Pci di Natta molto più che dalla Cgil di Lama. Con una sconfitta clamorosa. Nello stesso anno il governatore Ciampi presentò le dimissioni dopo che la lira aveva subito un duro contraccolpo dalla speculazione sbagliata della direzione finanziaria dell’ENI, col dollaro schizzato da 1.870 a 2.200 lire, in poche ore. Craxi però le respinse concordando un’azione più decisa per abbattere il caro-vita. “Se farà le cose che dice”, gli pronosticò Ciampi, “l’inflazione scenderà ancora”. Difatti calò dal 9,2 al 5,8% in un anno.
Tuttavia le tempeste per il governatore della Banca d’Italia - la quale era stata opportunamente separata dal Tesoro - erano tutt’altro che finite. Durante queste ricorrenti, inarrestabili burrasche, Ciampi si rafforzò nell’idea di una intesa europea complessiva. A metà ‘92 il tasso di sconto dovette essere aumentato sino al 15 % e, a settembre, la lira nuovamente svalutata del 7 %. Col mercato dei cambi chiuso venne varata - presidente del Consiglio, Giuliano Amato, alla guida di un governo Dc, Psi, Psdi e Pli - una delle maxi-manovre della storia, circa 100mila miliardi di lire: aumento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva, blocco dei pensionamenti, patrimoniale sulle imprese, prelievo forzoso sui conti correnti, minimum tax, ticket, privatizzazioni, blocco degli stipendi pubblici, ecc.
Ma il 1993 doveva segnare una svolta epocale nella carriera e nella vita di Carlo Azeglio Ciampi ormai da più di tredici anni in Via Nazionale. Nell’infuriare di Tangentopoli il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro volle a Palazzo Chigi un uomo al di sopra dei partiti, di sicura fede democratica e scelse lui per quell’incarico da far tremare. Da presidente del Consiglio prima e da ministro del Tesoro poi nei governi Prodi e D’Alema, creò con ostinata volontà le condizioni per l’ingresso dell’Italia, poco considerata all’estero, nella moneta unica europea. Successo storico conseguito nel 1999. A ciò aveva concorso - non dimentichiamolo - l’accordo del 1993 Confindustria-Sindacati che assicurò, con la “concertazione”, un clima sociale più disteso.
Quando i coniugi Ciampi pensavano ad una tranquilla pensione, fra Roma, Santa Severa, la montagna, la chiamata bipartisan, nel marzo del ’99, alla presidenza della Repubblica, alla prima votazione, contrarie Lega e Rifondazione. Sette anni accidentati, resi più impervi dai contrasti con Silvio Berlusconi sulla legge Gasparri sulle tv, sulla giustizia, su altre norme, di fatto, ad personam. Anni di minacce secessioniste della Lega alle quali rispose riproponendo di continuo l’unità risorgimentale e l’inno-simbolo di Goffredo Mameli e Michele Novaro. Alla fine del mandato Carlo Azeglio Ciampi ricusò la riconferma in nome della “democratica rotazione delle cariche”. Rimarrà nella memoria storica come il timoniere che guidò la lira fuori dalle bufere più distruttive verso l’approdo europeo e l’Italia verso una possibile unità attorno a grandi obiettivi non più soltanto nazionali.
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