Kosovari in corteo sul ponte di Rialto «No al terrorismo»

Partiti da piazzale Roma sventolando le bandiere del Kosovo e dell’Albania alla fine sono arrivati sul ponte di Rialto per scandire «No al terrorismo», «Rialto non si tocca», «Grazie alle forze dell’ordine», «Grazie Italia» e ribadire la ferma opposizione contro ogni atto individuale che interferisce con le leggi del paese ospitante e preso le distanze dalla cellula jihadista (tre kosovari e uno minorenne) pronta a compiere un attentato sul ponte di Rialto.
Oltre 50 kosovari e albanesi con mogli e figlioletti si sono riuniti ieri pomeriggio in una manifestazione pacifica. Abitano a Chirignago, Mestre, Spinea, Treviso; quasi tutti lavorano nell’edilizia. Come Bucaj Bujar, 36 anni, moglie kosovara e tre figli, 10, 7 e 4 anni. Arrivato in Italia nel 1998, durante la guerra in Kosovo, solo e minorenne ha iniziato a lavorare da muratore. Oggi è titolare di un’impresa edile con 14 dipendenti. «Abito a Mestre anche con i genitori» dice Bujar «Rispetto la legge e pago le tasse. Ogni giorno sono a Venezia, ristrutturo bar e ristoranti». L'imprenditore conosce i kosovari arrestati. «Mi sento tradito» racconta «Pranzavo dove lavoravano. Il loro pensiero è completamente sbagliato, siamo contro di loro. Con me non si sono mai spinti con nessun discorso strano, li avrei denunciati», precisa Bujar. E racconta un episodio: «Uno del gruppetto per trovare lavoro si è spacciato, per costruirsi delle referenze, per mio nipote. Successivamente la spaghetteria mi ha chiesto di confermare ma ho smentito subito». Il padre ascolta le parole del figlio e aggiunge: «Grazie Italia che ci accogli e ci dai la possibilità di vivere tutti insieme. Questi sono i valori che trasmettiamo ai figli e ai nipoti».
I manifestanti, giovani muratori, carpentieri, fornellisti come Atdhe Kelmendi, Hysni Bajraktaraj, Kushtrim e Albion Klegka, Ardjan Ramadani, Halim Gegaj, hanno una sola voce. «Come si fa a comportarsi così in casa di chi ci ospita? Che restino in carcere per sempre. Il loro gesto criminale è imperdonabile».
Parole di condanna anche dall’organizzatrice Ermira Zhuri, avvocato: «Difendiamo la sicurezza e la pace e trasmettiamole. Questa è la nostra risposta contro ogni forma di terrorismo». Mentre in campo iniziano canti e balli delle loro terre un giovane kosovaro chiama per nome sua figlia: «Verona». Più integrazione di così.
Nadia De Lazzari
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