Kamrul, la voce dei «bangla»

Il negoziante di via Piave: «Per una vera integrazione serve sacrificio»
Kamrul Syed 41 anni nel suo negozio Internet di via Piave
Kamrul Syed 41 anni nel suo negozio Internet di via Piave
 
Tra i 26 mila residenti di nazionalità straniera, 5 mila arrivano dal Bangladese. E Kamrul Syed, 41 anni, titolare di un negozio di internet in via Piave, ne è la «voce».
 La comunità bangladese è la più presente oggi a Mestre. Se si è aperto un dialogo con il Comune è anche grazie a Kamrul che ha fatto parte della delegazione di zona di via Piave, collabora con il gruppo di lavoro. Con un connazionale, è lui ad aver finanziato le pettorine dei bambini del «Pedibus» alle scuole Querini e Cesare Battisti. I suoi figli, tre, il più piccolo di un anno e mezzo si chiama Michele, hanno partecipato alla festa «Mestrini del mondo» in via Poerio. Ed ora è lui assistere i connazionali e pure i cittadini italiani truffati (sono almeno 145) da una agenzia di viaggi di via Tasso.  
Quanti anni fa è arrivato qui, a Mestre?
«Sono arrivato in Italia ventuno anni fa e dal 2001 vivo a Mestre con mia moglie, che è italiana. All'inizio ho lavorato in Val Gardena. Facevo il cameriere e ho imparato a parlare anche il tedesco. Poi ho lavorato in Svizzera. Mia moglie, calabrese, la conosco dal 1996 e ci siamo sposati nel 2003. Adesso viviamo a Mestre con i nostri tre figli, due maschi e una femmina, in un palazzo alla Vempa. E visto che passo più di 12 ore al giorno in via Piave, per il mio lavoro, ho cominciato ad interessarmi dei problemi di questa zona della città».  
Lei è impegnatissimo nelle più varie iniziative di aiuto alla sua comunità.
«Sì, io ho voglia di aiutare la mia comunità. Girando l'Europa e poi qui in Italia ho visto quanto è difficile l'integrazione e allora mi impegno. Sono stato anche io uno che non sapeva nulla di questo paese. Organizziamo (con l'associazione immigrant journalist forum, ndr) corsi per aiutare i bambini a fare i compiti, corsi di italiano e di lingua bangla, perché i nostri figli che nascono qui non sanno parlare la lingua dei nonni. Lavoro con l'Etam, ilgruppo di lavoro di via Piave e l'ufficio Immigrazione del Comune su via Piave. Lo faccio anche per i miei figli, nati qui».  
Lei oggi cosa si sente?
«Sono straniero qui, sono straniero nel mio paese. Sono nato in Bangladesh ma sono 25 anni che vivo qui, e allora quando torno a casa mia sono uno straniero e lo sono pure qui a Mestre. Francamente non lo so bene chi sono».  
Ma si sente integrato?
«Sono un cittadino integrato. Ho una attività, parlo italiano. Sono stato consigliere della scuola dei miei figli. Ho sempre pensato che per integrarmi dovevo calarmi dentro questa società, superare le difficoltà anche culturali che ci sono».  
Ma noi italiani siamo razzisti?
«No, non lo siete. Mi capita di incontrare persone molto maleducate, certo, ma lo sono a priori. Certo per una vera integrazione serve sacrificio, da ambo le parti. Ci sono cose che mi danno fastidio, ma io penso a comportarmi bene».  
Via Piave. Mi dica una cosa bella e una brutta del quartiere dove vive.
«Mi piace via Piave quando vedo italiani e stranieri che si parlano, prendono un caffè assieme e si confrontano. Non mi piace via Piave quando vedo i turisti che la evitano. Con tutta la gente che scende in stazione questa zona dovrebbe essere più attraente. Serve un locale, un pub, aperto fino a tardi e pieno di giovani per rivitalizzare questa zona. Servono cartelli in più lingue per aiutare gli stranieri a capire le regole di questo paese. Serve uno spazio per gli anziani a cui danno fastidio i rumori in strada dopo le 22, affinché possano anche loro stare assieme e divertirsi. Nel 2007, quando ero in delegazione di zona, l'avevo proposto al presidente della Municipalità Massimo Venturini. Oggi resto convinto che servano davvero questi spazi».  

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