"Io infettato nelle favelas vi racconto com'è la Zika"

Ingegnere mestrino, missionario laico ad Haiti, è stato punto mentre era in chiesa: "Ho avuto febbre e prurito, ma ora sto bene". Curato a Padova

PADOVA. Da un anno, ogni quattro settimane, Nicola Casarin vola fino ad Haiti per contribuire alla costruzione di una scuola per i bambini abbandonati che vivono nella favela di Porto Principe. Bambini che non hanno da mangiare, che giocano sopra la spazzatura e che se superano i due anni vengono chiamati “i sopravvissuti”. È qui che Nicola ha contratto il virus Zika dopo essere stato punto da una zanzara.

Sin da subito si è accorto che qualcosa non andava e ha contattato tramite e-mail il suo medico di fiducia che lavora al reparto di Malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Tornato a casa il primo febbraio, il quarantaduenne è uno dei quattro casi presenti in Veneto. Nicola è laureato in ingegneria gestionale e abita a Mestre con la moglie e la figlia.

Nicola Casarin con una bambina haitiana
Nicola Casarin con una bambina haitiana

Quando è stata l’ultima volta che si è recato ad Haiti? «Ci sono stato dal 21 gennaio al primo febbraio scorso. In quelle zone opera la Missione Belem, una comunità cristiana che ha l’obiettivo di aiutare i poveri e le persone in difficoltà. Da oltre un anno mi sono unito da laico e porto il mio contributo per la costruzione di una scuola per regalare una speranza ai piccoli».

Quando ha contratto il virus Zika? «Sabato mattina, il 30 gennaio, ero in chiesa a seguire la messa. Avevo notato una zanzara, ma non pensavo mi pungesse perché ho sempre utilizzato i repellenti. Ho percepito immediatamente prurito al polso e sono comparsi dei puntini. A dire la verità non avevo sentito parlare molto del virus Zika, lì ci sono problemi di ogni tipo e ben peggiori».

Che disturbi ha avuto? «I disturbi sono stati lievi, in tutto sono durati un paio di giorni. Ho avuto un po’ di febbre il giorno del rientro in Italia, tra i 37 e i 38 gradi. Il problema più fastidioso è stato un prurito diffuso in tutto il corpo, soprattutto nella schiena. Il mattino seguente è comparso anche uno sfogo cutaneo sul collo, delle chiazze rosse. Ho messo del cortisone per placare la reazione. Appena sceso dall’aereo mi sono diretto all’ospedale di Padova dall’infettivologo che mi ha subito controllato e preso in carico».

Si è spaventato? «Non posso dire di essermi spaventato, mi sono solo fatto qualche domanda in più per garantire la salute della mia famiglia. Ora sto bene, al massimo sono un po’ stanco. La prendo come una benedizione, vivendo con i più poveri bisogna metterlo in conto. Non è la prima volta che contraggo malattie di questo tipo. Ho avuto la scabbia, punture da pulci, bronchiti. Del resto, i bambini delle favelas quando ti vedono ti corrono incontro e ti abbracciano in massa chiamandoti papà».

Quindi continuerà con la sua missione? «Certo, ancora più convinto di prima. Nella favela in cui operiamo vivono almeno 200 mila persone e la situazione è ancora più difficile dopo il tragico terremoto che nel 2010 ha colpito Haiti. Le persone dormono in baracche di lamiera, tra i canali di scolo fognario. I bambini lì muoiono ogni giorno, dare loro una speranza cambia le cose».

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