Inquinamento alle “Terre rosse”, il pm chiede due anni di carcere
Mira. Il processo a carico di Sergio Spinoglio, titolare della ditta che ha scaricato a Dogaletto le ceneri di pirite, scarti di lavorazione del Petrolchimico. Le testimonianze: animali morti per i veleni
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MIRA Montagne di ceneri di pirite alte parecchi metri in via Bastie a Dogaletto: per la discarica che tutti in paese conoscono come “Terre rosse”, il processo a carico di Sergio Spinoglio, classe 1945, titolare della “Veneta Row Mineral srl”, sta arrivando alle battute finali. Il pubblico ministero Giorgio Gava, titolare dell’inchiesta, ha chiesto la condanna dell’anziano responsabile della ditta che sulle terre tra la Romea e la laguna ha costituito la discarica delle polemiche, al centro da anni di battaglie civiche e ambientaliste: due anni per le ipotesi di reato di deposito incontrollato di rifiuti, danneggiamento e sversamento abusivo. Chiesta invece l’assoluzione per due ipotesi di reato minori.
I fatti contestati vanno dal settembre 2011 a tutto il 2013. Nel corso dell’udienza ha parlato anche il rappresentante dell’Avvocatura dello Stato che ha depositato una richiesta scritta di risarcimento dei danni. L’udienza davanti alla giudice monocratica Sonia Bello è stata quindi aggiornata all’8 novembre, quando sarà il turno delle requisitorie dei legali delle altre parti civili, ovvero la Regione, la Città Metropolitana, il Comune di Mira, il Wwf e Legambiente, oltre che dell’uomo i cui terreni confinano con quelli della discarica, e a seguire dovrà parlare la difesa dell’imputato.
Secondo l’accusa, le montagne di ceneri di pirite hanno inquinato terreni, corsi d’acqua e falde sotterranee attraverso il dilavamento che porta le sostanze pericolose in circolazione nella rete idrica minore e poi in laguna. Lo aveva spiegato senza mezzi termini nel corso di un’udienza del procedimento il funzionario dell’Arpav Marco Ostoich: «La situazione a Dogaletto è indecente, c’è un deposito di tonnellate di ceneri di pirite, un rifiuto pericoloso, che quando piove il dilavamento trasporta e disperde nei canali circostanti e tutto poi finisce in laguna».
Nelle ceneri di pirite ci sono l’arsenico, il cadmio, il ferro, il nichel e tanti altri materiali pesanti e pericolosi. Il proprietario dei terreni confinanti con la discarica, davanti alla giudice Bello, aveva spiegato: «Nel campo che confina con le montagne di pirite, l’erba si è seccata e non cresce più. Mi sono morte alcune mucche e con i miei occhi ho visto decine di gabbiani morti dopo essersi appoggiati su quelle montagne di terra rossa».
Il sito nasce a metà anni Sessanta, in piena attività di Porto Marghera. Le ceneri di pirite altro non sarebbero che scarti di lavorazione dell’area del Petrolchimico. All’epoca venne autorizzato un deposito temporaneo di ceneri di pirite che si trasformò in definitivo. Vennero portati fino a un massimo di 1 milione e 200 mila metri cubi di ceneri su un’area di 77 mila metri quadrati. A metà degli anni Novanta, dopo i conferimenti, ne sono rimasti 750 mila metri cubi. E sono ancora là.
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