Inizia l'udienza, ma c'è solo lo "spettro" del grande burattinaio Mazzacurati

L'ex presidente del Consorzio muoveva tutto il sistema, ma non è ancora rinviato a giudizio
L'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati davanti al Palazzo di giustizia
L'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati davanti al Palazzo di giustizia

VENEZIA. Trent’anni di sistema Mazzacurati a processo e manca proprio lui, l’ingegner Giovanni Mazzacurati, prima direttore generale e poi presidente del Consorzio Venezia Nuova, l’uomo che ha costruito e tenuto in piedi il grande affare del nuovo secolo. Il Mose è la più grande opera pubblica in costruzione in Italia, ci costerà 6 miliardi e mezzo a fine corsa, se tutto andrà bene. Nel frattempo su 5 miliardi e mezzo erogati dallo Stato, uno ha preso il volo in tangenti, sovrafatturazioni, finanziamenti indebiti, sprechi. A tenere i cordoni della borsa era l’ingegnere. Gelosissimo dei rapporti con Roma. Unico a trattare con i ministeri, con i ministri, con la presidenza del consiglio dei ministri. Mazzacurati dava senza farsi pregare, tanto non erano soldi suoi, ma con generosità oculata. A tutti, purché ci fosse una buon ragione. Incluso se stesso, si capisce.

Cento milioni all’anno, ha fatto il conto un altro ingegnere, Piergiorgio Baita, che gli teneva compagnia nel consiglio direttivo del Consorzio, era il “fabbisogno sistemico” per la grande opera. Sentite come suona elegante e asettica questa definizione. Gli ingegneri sono scientifici. E sono andati avanti per una decina d’anni, da quando il Comitatone ha rotto gli indugi e lo Stato ha cominciato a pompare denaro. Cento milioni all’anno sopra il costo dell’opera, s’intende. Mazzacurati teneva un libriccino dove segnava con simboli che capiva solo lui, i nomi e le cifre. Ma l’accusatore principe non verrà a decriptare i geroglifici: è negli Stati Uniti, anziano, malato. Qualche giornalista ha provato a rintracciarlo, senza successo.

Dopo Galan, davanti al giudice Matteoli, Orsoni e Sartori
L'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni con l'ex presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati

Solo lui potrebbe spiegare, per esempio, perché il Consorzio dava incarichi ad un’impresa priva di requisiti tecnici minimi come quella del romano Erasmo Cinque. Il quale poi, secondo l’accusa, girava la mazzetta all’ex ministro Altero Matteoli, che aveva concordato il reclutamento. Erasmo Cinque non muoveva un dito, vendeva il lavoro alla Mantovani di Baita, che si accollava le operazioni lasciandogli un 6-7%. Gratis. Una forma di appalto. Nel Consorzio lo chiamano sub-affidamento, lo praticano tutte le imprese. L’ha confermato Giuseppe Fiengo, uno dei tre commissari nominati da Cantone, in una recente intervista a Il Fatto Quotidiano, spiegando così gli incidenti al cassone di Chioggia (Condotte aveva venduto il lavoro ad un’impresa minore) o alla chiusa nella conca di navigazione a Malamocco. Il processo cercherà la prova del passaggio di denaro tra Cinque e Matteoli, che alla vigilia non risulta.

Piergiorgio Baita, ex presidente Mantovani, altro grande "assente": indagato e non ancora a giudizio
Piergiorgio Baita, ex presidente Mantovani, altro grande "assente": indagato e non ancora a giudizio

Senza il denaro, la corruzione si trasforma in traffico d’influenza e si scende di grado. E’ un passaggio delicato. Il denaro non si è trovato neanche per Renato Chisso. O per Giancarlo Galan, per citare due imputati eccellenti usciti dal processo con il patteggiamento. A chi ha patteggiato non potranno più essere chiesti i danni, se non attraverso un processo in sede civile. Qui si apre il capitolo delle parti civili. L’ammissione sarà una battaglia dura, ma la presenza dello Stato che si costituisce con la presidenza del consiglio e tre ministeri, ridà alla vicenda Mose la dimensione di scandalo nazionale che ha sempre avuto. Nonostante la coltre di silenzio che l’ha subito ricoperta. E’ da sperare che se ne accorgano anche trasmissioni come Porta a Porta, che preferiscono puntare su Mafia Capitale (rapporto 1 a 10 con il Mose in “fatturato criminale”) o sui Casamonica. Potrebbe nuocere alla spettacolarità del processo l’assenza di figure di spicco dell’inchiesta, giù uscite con il rito alternativo. Ma l’unico processo Mose d. isponibile è quello che si apre giovedì  e finirà per riaprire tutti i fronti. Se poi il successo dell’accusa si misura dal risultato e non dagli articoli di giornale, i pm l’hanno già portato a casa, costringendo nei mesi scorsi a patteggiare imputati eccellenti che presumibilmente avevano altro da nascondere. Con i limiti che questo ha comportato, primo fra tutti la rinuncia a perseguire i reati nelle sedi romane, mettendo a nudo lo scandalo dalle fondamenta. In ogni caso la pluralità dei soggetti coinvolti nello scandalo è assicurata. Si va da Vittorio Giuseppone, ex magistrato della Corte dei conti, a Maria Giovanna Piva del Magistrato alle Acque, da un professionista molto introdotto nei lavori pubblici veneti oltre che a Villa Rodella come Danilo Turato a dirigenti della Regione con imputazioni diverse e gravità da verificare, come Luigi Fasiol o Giovanni Artico. Quanto a notorietà, la parte del leone sarà senz’altro dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e dell’ex eurodeputata Lia Sartori. Hanno imputazioni modeste (finanziamento pubblico al partito) ma grande notorietà. E ruoli di spicco, non solo politici, soprattutto Lia Sartori, legatissima a Giovanni Mazzacurati. Tutti i i lavori affidati ad Erasmo Cinque a Marghera (350 milioni circa) erano su progetto dello Studio Altieri.

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