Infermo dopo il volo, il Comune in aula
MIRA. Per il risarcimento dell’infermità del 100 per cento del giovanissimo Giovanni Zecchini, il suo avvocato Augusto Palese e i legali della famiglia, Renato Alberini, Paolo Vianello e Gian Luca De Biase, hanno chiesto un risarcimento che sfiora i 12 milioni di euro e hanno chiamato a risponderne il Comune di Mira, la “Gp Nuoto” che gestiva l’impianto, la “Atheste Costruzioni” e la “Ids srl”, le due società che avevano vinto e svolto i lavori in appalto.
Ieri, nella seconda udienza davanti al giudice monocratico Sara Natto, si sono costituiti e hanno mandato i loro avvocati solo i primi tre. Poi il magistrato ha rinviato l’udienza al 29 giugno.
Il ragazzo, il 19 luglio di tre anni fa, era precipitato dal tetto della piscina comunale di Mira sul quale si era arrampicato. A rispondere di lesioni colpose gravissime sono chiamati in sette: il sindaco Alvise Maniero; Marino Vanzan della società di Mira che gestisce la piscina; Roberto Cacco, dirigente dei Lavori pubblici del Comune; Nicoletta Simonato, presidente della Commissione vigilanza sui locali di pubblico spettacolo; Giancarlo Gruarin, responsabile della sicurezza per la piscina; Adriano Sinigaglia, amministratore di Atheste Costruzioni di Este che aveva vinto l’appalto per la costruzione della struttura, e Sandro Destro, titolare dell’altra ditta appaltatrice, la Ids di Rovigo.
Per tutti la Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma a opporsi erano stati gli avvocati di parte civile. Il giudice Andrea Comez aveva ordinato alla Procura di formulare il capo d'imputazione e così sono finiti sotto processo. Quella sera Giovanni assieme a due amici aveva scavalcato un muretto e si era arrampicato sul tetto della piscina per fare alcune foto, scalando una parete a gradoni. Una volta su, aveva messo un piede su un lucernario, precipitando all’interno della vasca vuota. L'accusa, per tutti gli imputati è di lesioni colpose «per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza delle leggi, violazione delle norme sulla prevenzione infortuni», «per avere, nell’ambito delle rispettive competenze e attribuzioni e per omessa vigilanza sull’operato dei rispettivi delegati e preposti non valutato i rischi, non recintando l’area d’accesso alla piscina dove si trovavano i listoni che avrebbero consentito la risalita del ragazzo e dei suoi amici»; non «adottato presidi infortunistici e di protezione collettiva (rete anticaduta, protezione a botte, parapetti)». (g.c.)
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia