«Indispensabili le vasche di espansione»
Il naturalista sandonatese Zanetti: bisogna poi porre subito freno allo sviluppo urbanistico
COLUCCI - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' DI P. - ALBERI CADUTI LUNGO LA GOLENA DEL FIUME PIAVE
SAN DONÀ. «Se oggi si rompesse l’argine sinistro del Piave, San Donà sarebbe spacciata». Il presidente dell’associazione naturalistica sandonatese, Michele Zanetti, ha sempre ascoltato con attenzione le lezioni e i moniti del professore e ingegnere Luigi D’Alpaos, che da anni mette in guardia sull’urbanizzazione e la cementificazione in relazione ai pericoli delle piene. «Pensiamo ad esempio», incalza Zanetti, «a cosa accadrebbe a un’area come quella di Millepertiche a Musile dopo lo sviluppo urbanistico che c’è stato in questi anni. Questo per dire che nel 1966 si allagarono le campagne, oggi sarebbero invase dall’acqua delle zone che nel frattempo sono ben più abitate. Il Piave scorreva con 7 mila metri cubi di acqua al secondo in quel tragico novembre. Oggi potrebbe scorrere ancora più velocemente e con danni enormi perché è venuta a mancare tutta la manutenzione necessaria con un aumento notevole di alberi spontaneamente cresciuti sugli argini. Questi, con il loro apparato radicale, hanno contribuito a indebolirli».
Secondo il naturalista non si può più rinviare un intervento serio e coordinato con la Regione, i Comune dell’asta del Piave, e altri enti come i Consorzi di Bonifica. «Per prima cosa servono le vasche di espansione mai realizzate», ricorda Zanetti, «dove possa espandersi in caso di emergenza l’acqua in eccesso, per lo spagliamento della piena. La zona individuata è sempre stata quella di Nervesa, ma oggi potrebbero esserne individuate anche altre. Non dimentichiamo che lo sviluppo urbanistico senza freni aumenta notevolmente i rischi legati a una piena. Fu un caso che nel 1966 si rompesse l’argine destro a Zenson, ma 50 anni dopo potrebbe essere quello sinistro e allora San Donà sarebbe completamente allagata. Certo devono accadere una serie di eventi concatenati, come le 72 ore di pioggia e la burrasca che impediva al mare di ricevere l’acqua del fiume rendendo impossibile un regolare deflusso in quel novembre del 1966».
I passi da compiere sono ben precisi e non richiedono poi così tanto tempo secondo il naturalista. “Dobbiamo pensare subito alle vasche di espansione che siano compatibili con il territorio e le sue esigenze anche a livello economico», conclude, «e a una manutenzione forestale che non deve necessariamente comportare il taglio di tutti gli alberi, ma una pulizia degli argini che oggi frenano l’acqua».
(g.ca.)
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