«Indegne della divisa». Coppia a processo per video e post
VENEZIA. Era la sera del 16 gennaio del 2015, e lei non aveva resistito. Prendendo in mano il telefono e cominciando a riprendere: due vigilesse che in Piazza San Marco, a suo dire, si facevano i fatti loro invece di sanzionare i venditori abusivi della Piazza. Per quel video, poi pubblicato su facebook e trasmesso anche da una emittente televisiva locale, Giulia Zambon (difesa dall’avvocato Fabiana Danesin) e il marito Fabio Prizzon (difeso da Antonio Alessandri) sono ora a processo per diffamazione, e hanno scelto il rito abbreviato. Prizzon è nome noto in centro storico, soprattutto per chi frequenta le pagine social dedicate alla città, dal momento che si occupa, tra l’altro, dei problemi legati ai trasporti e ai disservizi di Actv. È tra i fondatori infatti della pagina fb “Sciopero dell’abbonamento di Actv”.
Il video in questione era stato pubblicato sul profilo fb della donna, con tanto di commento riferito alle due agenti municipali: “Che misere, è come un medico che si lima le unghie in pronto soccorso (...) le vigilesse sono oscene, indecorose e indegne della divisa». Nei guai anche il marito, sempre per un commento pubblicato sotto il video: “Le solerti vigilesse sono state ingobbate 10 minuti al cellulare, ignorando la richiesta di informazioni da parte di due turisti».
E via dicendo. Le due vigilesse non se la sono messa via, anche perché il video ha avuto una buona diffusione, soprattutto dopo che anche una tv locale ha deciso di pubblicarlo. E, affiancate dall’avvocato Mariarosa Cozza, hanno deciso di presentare denuncia. Il video l’ha visto anche il comandante della polizia municipale, con il quale le due si sono giustificate spiegando che erano al telefono per cercare di liberare uno studente che era rimasto chiuso ai giardinetti. Il pubblico ministero, Giorgio Gava, aveva chiesto l’archiviazione sostenendo che quanto pubblicato rientrasse nel legittimo diritto di critica, valutando anche che le due vigilesse erano riprese di spalle, di sera, e quindi non identificabili. Il gip però, Giuliana Galasso, aveva deciso per l’imputazione coatta. È lo strumento con cui il giudice, tramite ordinanza, dispone che la procura che aveva chiesto l’archiviazione chieda invece per gli indagati il rinvio a giudizio. E i due, tramite i loro avvocati, hanno deciso di farsi giudicare con la formula del rito abbreviato.
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