Inchiesta sul “corvo” della Chiesa veneziana: il giallo delle impronte

In aula la relazione degli investigatori del Ris dei carabinieri sui volantini diffamanti verso il Patriarcato è stata contestata dalla difesa degli imputati

Eugenio Pendolini
Uno dei volantini anonimi affissi sulla porta della chiesa di San Zulian
Uno dei volantini anonimi affissi sulla porta della chiesa di San Zulian

VENEZIA. Nel processo al “corvo” del Patriarcato a carico di  Enrico Di Giorgi e Gianluca Buoninconti, presunti colpevoli, si preannuncia una battaglia legale sulle impronte digitali compromettenti, a suon di relazioni del Ris ed eccezioni da parte della difesa degli imputati.

Tanto che nell’udienza di ieri davanti al giudice Manduzio ci si è concentrati più sulla relazione prodotta dai carabinieri del Ris proprio sui riscontri effettuati sulle impronte digitali, rispetto alla corrispondenza delle impronte digitali rinvenute su uno dei volantini incriminati, offensivi verso il Patriarcato e affissi dopo la rimozione di don D’Antiga (poi “spretato”) da San Salvador e dopo le segnalazioni presentate da Alessandro Tamborini.

Una relazione «mancante», secondo la difesa di Di Giorgi rappresentata dall’avvocato Giovanni Trombini. Una relazione che invece secondo la pubblica accusa, rappresentata dalla pm Daniela Moroni, inchioda i responsabili di quelle affissioni di volantini firmati “Fra.Tino” con ogni sorta di accuse infamanti contro il patriarca Moraglia (che presentò denuncia) e molti preti veneziani, accusati di far parte di una sorta di lobby affaristico-gay.

Il maresciallo Daniele Morcellini, del Ris di Parma, ha spiegato come in seguito agli accertamenti realizzati a febbraio e a maggio 2019 nella parte adesiva dei volantini affissi siano state trovate quattro impronte.

Una delle quali corrispondente, in sedici punti, proprio al pollice di Di Giorgi, che secondo l’accusa sarebbe stato il vero “corvo” responsabile delle affissioni dei messaggi diffamatori.

Per la difesa, però, la relazione non sarebbe completa a causa del mancato elenco, in ogni sua minuzia, di tutti i punti corrispondenti e delle altre tre impronte trovate durante gli accertamenti.

Motivo per cui ieri in aula l’avvocato Trombini ha chiesto al maresciallo dei carabinieri di illustrare punto per punto tutti i dettagli che corrispondono alle impronte dell’imputato. Se ne riparlerà il prossimo 11 novembre, quando sarà presentata una relazione ancor più dettagliata.

Nell’udienza di ieri, poi, sono emersi dettagli sull’incontro riservato (ma registrato) nel quale due nobildonne veneziane avrebbero chiesto al Patriarca in persona di reintegrare don D’Antiga, alludendo, in caso contrario, all’esistenza di un dossier contro la cura veneziana che avrebbe potuto rovinare la reputazione del Patriarcato.

All’ascolto delle registrazioni si erano poi aggiunte altre attività di indagine, a partire dalla perquisizione in casa di Di Giorgi alla visione delle telecamere pubbliche in cui, in un’occasione a notte fonda, si era riusciti a individuare una figura mentre affiggeva uno dei manifesti incriminati.

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