Inchiesta Palude Venezia, spuntano nuovi indagati ed accuse
Le indagini verso la chiusura. I pm Baccaglini e Terzo stanno ancora approfondendo altri quattro capi di imputazione per turbativa. Patteggiamento difficile per Boraso: dovrebbe pagare pure per le intercettazioni
L’inchiesta Palude si avvia alla chiusura, ma si prepara a riservare sino all’ultimo nuove sorprese. Nel rivedere gli atti - in vista della chiusura ufficiale delle indagini, con la notifica a tutti gli indagati del cosiddetto 415 bis - i pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo hanno approfondito e deciso di contestare nuovi capi di imputazione, coinvolgendo anche nuovi indagati iscritti di recente al registro, tra imprenditori e dipendenti pubblici. I magistrati stanno lavorando su almeno quattro bandi di gara, sempre per ipotesi di corruzione o turbativa d’asta.
Non è detto si tratti di appalti ottenuti e mazzette pagate, ma anche di tentativi non andati a “buon fine”, ma comunque portati avanti illecitamente, secondo le ipotesi dell’accusa.
Verso la chiusura delle indagini
Per avere il quadro completo delle contestazioni si tratta di attendere la fine del mese di gennaio, o poco più: termine che la Procura si è data per chiudere definitivamente le indagini, presentare gli atti a tutti gli indagati - attualmente sono 32, oltre a una serie di aziende, ma potrebbero aumentare - e notificare loro il 415 bis, ovvero, la chiusura delle indagini. Da quel giorno scatteranno i venti giorni a disposizione delle difese per chiedere interrogatori o presentare memorie difensive e al termine di questo passaggio, i pm decideranno per chi chiedere - al giudice dell’udienza preliminare - il rinvio a giudizio.
Si scioglierà in questa fase anche uno degli aspetti più attesi di quest’indagine, ovvero, se la Procura porterà avanti (o meno) le accuse di concorso in corruzione che vedono al momento indagati anche il sindaco Luigi Brugnaro, i suoi uomini di fiducia Morris Ceron (già in Umana, ora direttore generale del Comune) e Derek Donadini (già in Porta di Venezia, e attuale vice capo di gabinetto).
La vicenda è naturalmente quella del tentativo di vendere al magnate Ching Chiat Kwong l’area dei Pili acquistata da Brugnaro all’asta nel 2005 per 5 milioni. Per allettarlo all’investimento - è l’ipotesi dell’accusa - gli sarebbe stato offerto a prezzo scontato palazzo Papadopoli (pagato 10,8 milioni di euro, dopo un’asta precedente andata a vuoto per 14). Stima fatta dall’Agenzia delle entrate, sostengono da sempre le difese.
Corruzione per tramite dell’allora assessore Boraso con una tangente da 73 mila euro pagata alle sue società per una consulenza, replica l’accusa, che ha indagato anche Claudio Vanin, l’imprenditore che da riferimento di Chiang in Italia è poi diventato (fallito il progetto Pili) il grande accusatore che ha dato il via all’inchiesta Palude con un esposto di 4 mila pagine e a sua volta indagato.
L’appalto “Calore” del Comune
Dunque, a breve si saprà. Intanto uno dei “nuovi” capi d’imputazione sul quale stanno lavorando in Procura - con la Guardia di finanza che ha seguito le indagini - è l’appalto “Calore” da 93 milioni di euro per gli uffici del Comune di Venezia, per il quale l’ex assessore Renato Boraso (già a giudizio il 27 marzo con rito immediato per 12 capi di imputazione di corruzione) si sarebbe dato un gran daffare per favorire l’impresa Mafra di Francesco Gislon (anche lui a giudizio il 27 marzo) e della figlia Carlotta.
Turbativa d’asta - l’ipotesi di accusa - che vede indagato anche in dirigente comunale responsabile unico del procedimento. Il pressing dell’assessore sul dirigente era stato per ottenere informazioni in anteprima sul bando. Non se ne fece nulla e la Mafra neppure partecipò. «Non ci è stato notificato niente rispetto a questa vicenda», dice l’avvocato dei Gislon, Paola Bosio.
Discussione sui patteggiamenti
Intanto davanti alla porta dei pm è un via vai di legali per sondare la possibilità di patteggiare che - se trovasse l’opposizione della Procura - potrebbe sfociare in riti abbreviati, e sconti di pena.
Certamente la posizione più difficile, al momento, è quella dell’ex assessore Boraso: per patteggiare bisogna non solo restituire quanto viene contestato in tangenti, ma anche pagare le spese legali, in quota parte. Si stanno facendo i conti, ma solo per le intercettazioni si tratta di milioni di euro.
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