Cinque scatoloni di documenti sui Pili: computer in tilt, niente copie per i legali
Tra le carte, centinaia di appunti sequestrati nell’ufficio di Donadini. Progetti sull’area inquinata presi anche da Umana
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Cinque scatoloni contengono la documentazione raccolta dalla Procura e dagli investigatori della Guardia di finanza, nel corso di quattro anni di indagine, sulla vicenda dei Pili, nell’ambito della più vasta inchiesta Palude.
L’indicazione è nelle 46 pagine dell’indice, in apertura delle 36 mila pagine di atti (più allegati) che racchiudono l’intera inchiesta coordinata dai pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo.
Documentazione sui Pili - il «cruccio» dell’imprenditore e poi sindaco Brugnaro di vendere l’area inquinata acquistata all’asta per 5 milioni - è stata trovata in molti luoghi diversi. E molti progetti sono stati elaborati tra il 2006 e il 2018 per mettere a profitto il terreno di waterfront, realizzandovi il palasport tanto desiderato dall’imprenditore proprietario anche della Reyer, ma anche un grande centro residenziale-commerciale.
Progetti che implicavano la modifica a destinazione d’uso dell’area da verde attrezzato, sulla quale la Procura basa le accuse di concorso in corruzione mosse al momento allo stesso sindaco e al magnate Chiat Kwong Ching e ai loro staff; tutti si proclamano innocenti.
Nell’ ufficio comunale in viale Ancona del vice capo di gabinetto del sindaco Derek Donadini (già amministratore di Porta di Venezia, società della Holding LB con in pancia i Pili, dal 2017 nel trust), sono stati trovati 234 fogli con appunti manoscritti e documentazione sulla riconversione e lo sviluppo dei Pili; una cartellina titolata “contenzioso” con articoli di stampa critici nei confronti del sindaco e bozze di risposta sul tema del possibile conflitto di interessi e una cartellina “Nota per Report 17 dicembre 2023”, con 100 fogli di resoconti e appunti di replica alla trasmissione Rai che puntò l’indice sul conflitto.
Negli uffici di Umana (società capofila della holding ora nel trust) sono stati raccolti il “Venice Masterplan” redatto dalla Dp Architects Ldt dopo la visita del 12 giugno 2018 per conto della Oxley, società di Ching; una cartellina della Reyer con dentro analisi chimiche sui Pili, il progetto di ipotesi di masterplan dell’architetto Tobia Scarpa datato dicembre 2017; un elaborato “Dicembre 2018 Area Pili” intestato Bs Engineering; un documento datato aprile 2012 intestato Golder Associater “Possibili scenari di sviluppo per l’area dei Pili», un documento della stessa società dell’aprile 2017 di analisi ambientale.
Poi documentazione informativa sulla costituzione di un trust. E ancora altri progetti sui Pili: planimetrie e costi progettuali stilati dalla Sama Global Italia; due bozze di convenzione tra Porta di Venezia e la Sama Global e documentazione su LB trust.
E ancora progetti risalenti nel tempo: da quello dello studio Berto & Nason del maggio 2006, una “cronistoria eventi di rilievo del’area dei Pili”, fino a un preventivo di progettazione della B&S Ingegneria del 2018.
Caos copie digitali: tutto bloccato
Sta intanto diventando un caso, il tentativo - sinora vano - degli avvocati difensori dei 34 indagati dell’inchiesta Palude di avere copia (come loro diritto) degli atti della Procura.
Si tratta di 36 mila pagine raccolte in un unico file e poi suddivise in decine e decine di cartelle, ognuna con il proprio materiale all’interno: verbali di interrogatorio, tavole ad alta definizione per progetti di waterfront al posto dei 41 ettari di terra inquinata dei Pili, fotocopie di brogliacci con i riferimenti delle intercettazioni.
Una mole di atti investigativi che devono essere messi a disposizione delle difese, che (secondo la legge) hanno 20 giorni di tempo dalla notifica della chiusura delle indagini per studiare le carte, presentare eventuali memorie difensive o chiedere interrogatori degli indagati. Scaduto il termine, la Procura tira le fila e decide per chi chiedere il rinvio a giudizio.
Il problema è che a una settimana dalla chiusura delle indagini - la notifica ai legali è arrivata alle 14 di venerdì 14 febbraio e da allora non un avvocato è riuscito ad avere copia degli atti - i computer del sistema nel piccolo “ufficio 415 bis” non sono stati sinora in grado di caricare gli hard disk portati dagli avvocati difensori.
All’annuncio che ogni copia avrebbe richiesto non meno di 5-6 ore di lavoro delle macchine per riversare centinaia di Giga di dati, ieri si è aggiunto quello che i tecnici informatici stanno cercando di superare il continuo stallo dei computer, sovra caricati di dati che non riescono a riversare.
Ad un certo punto i tecnici sono usciti anche dal sistema operativo Windows, per scrivere nuove stringhe di comando “copy”, ma i tempi dell’operazione si stanno dilatando oltre misura: è evidente che i 20 giorni previsti dalla legge non saranno sufficienti per dare modo alle difese di valutare le carte in mano alla Procura e decidere se avanzare richieste di patteggiamento (come già fatto dai legali dell’ex assessore Renato Boraso e dell’imprenditore-mediatore Fabrizio Ormenese, per una parte delle accuse, e degli imprenditori Francesco Gislon e Daniele Brichese per il complesso delle accuse a loro carico).
Oppure se battersi per l’assoluzione - contro le accuse mosse di concorso in corruzione e reati corollario, mosse dai pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini - chiedendo il rito abbreviato o la difesa in aula, davanti al Tribunale.
La Procura ha già detto che il termine non sarà rigoroso (anche se la norma dice altrimenti), ma lo stallo tecnico aggiunge un nuovo elemento a un’inchiesta già molto complessa.
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