In sei anni costruzioni crollate ha chiuso un’azienda edile su tre
Il patto di stabilità interno blocca gli investimenti dei Comuni, anche quando i soldi ci sono. I Comuni riducono le opere pubbliche, pure quelle più piccole, e il comparto delle costruzioni crolla. Ergo, il patto di stabilità fa crollare le costruzioni. Trasferiamo questo sillogismo economico alla provincia di Venezia e troviamo le conferme. Basta osservare i dati diffusi dall’Ance (l’associazione dei costruttori edili) veneziana e elaborati dall’Osservatorio della Regione Veneto: dal 2007 al 2012, le gare pubbliche e le relative assegnazioni indette nel nostro territorio sono passate da 363 a 222, con un crollo del 39%. Meno appalti significa meno lavori, meno lavori significa meno liquidità per le aziende del settore, maggiori possibilità di chiusura e nuovi licenziamenti. Il problema aggiuntivo, denuncia l’Ance, è il crollo degli importi a base d’asta che ha di fatto dimezzato il valore totale delle opere concesse, passate dai 308milioni di euro del 2009 ai 158 milioni del 2012, con una perdita di 150milioni di euro che, se ci fossero stati, avrebbero dato una boccata d’ossigeno all’economia locale.
Il principale effetto di questo crollo è riassunto nel numero di imprese impegnate nel settore: prima della crisi, a fine 2007, le aziende iscritte alla Cassa edile veneziana erano oltre 1.500, mentre lo scorso anno si è scesi al di sotto delle mille unità, un terzo in meno. «Assistiamo a una polverizzazione del mercato dei piccoli lavori che sostengono l’economia locale», accusa Ugo Cavallin, presidente di Ance Venezia. «La principale colpa è del patto di stabilità interno che può e deve essere emendato, riequilibrando lo scompenso che esiste tra spesa corrente, quella improduttiva degli stipendi e delle consulenze inutili, e spesa per investimenti».
Ma non sono solo le opere pubbliche degli Enti locali, il problema. Perché dal 2011 a oggi si è fortemente ridimensionato pure l’apporto dei lavori pubblici delle aziende sanitarie e delle residenze assistenziali, calato dell’80% in un solo anno. Sotto i riflettori dell’associazione dei costruttori edili, anche gli appalti al massimo ribasso. Se nel 2003 il ribasso medio in provincia si aggirava attorno all’8,5%, oggi si avvicina al 20% con picchi anche superiori al 50% «che mettono a serio repentaglio la qualità nonché la sicurezza delle opere stesse», come sottolinea Cavallin, che avverte: «Occorre una precisa assunzione di responsabilità delle stazioni appaltanti che aggiudicano nonostante questi ribassi. Le imprese che offrono prezzi così palesemente incongrui lavorano necessariamente in perdita, a meno che, approfittando anche delle frequenti carenze progettuali, non confidino di recuperare in corso d’opera lo sconto praticato. Delle due l’una: o il massimo ribasso è l’extrema ratio per “fare fatturato” e ritardare l’agonia dell’insolvenza o del fallimento oppure si tratta di imprese su cui è lecito sollevare qualche sospetto. È un sistema che va riformato».
Gianluca Codognato
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