In mostra alla Giudecca il «mondo divertito» di Elliott Erwitt
VENEZIA. Un bambino nero si punta una pistola argentata sulla tempia. E ride, mostrando divertito tutti i denti. «È la fotografia alla quale sono più affezionato - racconta Elliott Erwitt - l’ho scattata camminando per strada a Pittsbourgh, all’inizio degli anni Cinquanta». Nel primo pomeriggio di ieri uno degli storici fotografi della Magnum, classe 1928, approda a Venezia dirigendosi dritto dritto alla Casa dei Tre Oci, in Giudecca, per verificare che la disposizione delle sue opere, curata da Denis Curti e intitolata «Personal Best», sia pronta per l’inaugurazione di giovedì 29. E’ la prima mostra fotografica ospitata dalla Fondazione di Venezia. Appena arrivato segue con lo sguardo le immagini che lui stesso ha scelto, assicurandosi che dialoghino l’una con l’altra. Tutto sembra rispecchiare il suo stile ed è compiaciuto del lavoro svolto. I piani del meraviglioso palazzo ospitano circa 140 fotografie in bianco e nero (tranne una) che vanno dai ritratti di famiglie americane ai volti di personaggi famosi, tutte cariche di emozioni. Erwitt cammina lentamente tra le stanze con l’amica fotografa Adriana Lopez Sanfeliu, appoggiandosi a un bastone provvisto sulla cima dell’immancabile trombetta. «La uso quando c’è troppa folla» spiega con ironia sorridendo, ma chi lo conosce sa che la trombetta, insieme al naso rosso da pagliaccio, fa anche parte di uno dei cammuffamenti più usati dal fotografo che andava in giro tra la gente acconciato in quel modo buffo, strappando per forza un sorriso.
Erwitt non parla molto, preferisce che siano le foto a intrattenere lo spettatore e a continuare a farlo sorridere. Cosa penseranno infatti quelle due simpatiche vecchiette che ridono divertite di fronte a un uomo interamente nudo, fotografato di schiena? E cosa ci fa una carriola piena zeppa di cani, ammucchiati uno sopra l’altro, in centro città? «Erano di una signora eccentrica che li portava a spasso così». Le immagini non vanno guardate pensando a una retrospettiva, ma lasciandosi andare alla propria immaginazione, perfino quando rappresentano dei momenti storici: «La fotografia - afferma il curatore - ha una sua autonomia linguistica e non bisogna sempre pensarla in relazione a qualcosa, ma come immagine che il fotografo cattura e che non sarà mai lo specchio della realtà in senso oggettivo». Un esempio è il famoso scatto con Nixon che punta l’indice sulla spalla di Krusciov. La stampa lo tradusse come inequivocabile gesto intimidatorio. Erwitt raccontò invece che Nixon stava mimando una barzelletta. «Avevo quindici anni - racconta - quando, a Los Angeles, mi comprai la mia prima macchina fotografica. Ho iniziato per divertimento, ma poi avevo bisogno di guadagnare qualcosa». La svolta avviene quando Robert Capa della Magnum lo chiama invitandolo a entrare nella Magnum, nel 1954. Da allora Erwitt viaggia, guarda e scatta, con una spontaneità che diventa il tratto fondamentale di ogni immagine. Le fotografie delle comunità di nudisti sono molto rappresentative a riguardo perché ne colgono appieno la naturalezza. Così avviene quando immortala lo sguardo tra una mamma e il proprio piccolo o nel bacio fugace. tra il collega Robert Franck e la sua prima moglie, colti in un istante di felice spensieratezza. La selezione è avvenuta nello studio della sua casa a Central Park, a New York. Al centro dello studio c’è un tavolo circondato da un archivio di migliaia di negativi e fotografie. Alle pareti sono appese le sue immagini, quelle che lo accompagnano sempre, come una sensuale Marilyn Monroe che pure lei, con dolcezza, sorride.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia