In edicola «Co digo, digo! – Usi, costumi e gergo dei veneziani»
Con la Nuova, il Mattino e la Tribuna c’è la spassosa “guida” di Carlotta Berti, giovane creator nativa del Lido: «Fioi, no gavè idea»

In Veneto abbiamo un rapporto strano con il nostro dialetto. C’è da dire innanzitutto che esso non fa parte di quella branca di dialetti socialmente accettati a livello nazionale (a differenza, per fare un esempio noto, del romanesco e del napoletano), ed in effetti per molto tempo, soprattutto tra gli anni Novanta e i primi Duemila, il dialetto veneto è stato considerato appannaggio linguistico unicamente di anziani e/o contadini – un idioma da usare al massimo in casa perché fuori, diciamocelo, poteva farti risultare un tantino bifolco, uno che non sa parlare in italiano.
Poi, a un certo punto, per fortuna le cose sono cambiate.
Con l’avvento dei social network, molti creators hanno deciso di proporre contenuti in dialetto, ottenendo un successo tanto inizialmente incredibile, quanto progressivo e tuttora in crescita. Tale successo è in realtà spiegabile con una sola parola cara a tutto il mondo del social media management: relatable.
Questione di relazione

Si giudica relatable un contenuto in cui ritrovi te stesso e la tua esperienza, al quale “ti puoi relazionare”. E il dialetto, ora ce lo siamo ricordati, è quanto di più relatable possa esistere. È la lingua della pancia, quella con cui esprimi appieno le emozioni: una battuta nel tuo dialetto ti fa più ridere, imprecare nel tuo dialetto ti dà molta più soddisfazione. Se l’hai parlato o ascoltato da quando eri piccolo, per te sarà sempre relatable. Ecco quindi che anche il dialetto veneto è uscito dalle case e dalle bocche dei nonni per approdare sugli schermi dei re e delle regine di Tiktok e Instagram: i Gen Z. Sì, la stessa generazione che fa diventare matti i boomers sfornando cinque nuovi vocaboli slang al giorno si è anche riappropriata definitivamente del dialetto, soprattutto in Veneto. Avete mai sentito parlare di Carlotta Berti?
La vita in Laguna

Classe 1999, 100 per cento isolana nativa del Lido di Venezia, più di trenta collaborazioni all’attivo e visualizzazioni che viaggiano ben sopra al mezzo milione per reel, Carlotta Berti dai suoi profili online racconta la vita in Laguna in modo altamente relatable e proprio per questo spopola, conquistando sia i suoi coetanei, sia tutti gli altri.
Protagonista assoluto dei suoi contenuti ad alto tasso di venezianità è, ovviamente, il dialetto: a partire dalla sua catchphrase “Fioi, no gavè idea”, Carlotta ci riporta i vari cultural shocks emersi durante la sua esperienza “in cattività” a Milano e numerose traduzioni dal veneziano all’italiano (e viceversa), spesso adattabili a contesti di ordinaria amministrazione lagunare, come il rapporto conflittuale con i mezzi pubblici o l’osservazione dei comportamenti insensati di turisti e gabbiani.
Proprio durante l’esperienza milanese Carlotta si è resa conto di quanto quella venezianità fosse parte integrante del suo essere, una parte inscindibile che, peraltro, tenderebbe a manifestarsi platealmente anche quando non sarebbe del tutto opportuna. Non si può combattere, insomma, ma ci si può alleare, ad esempio rendendola più… ufficiale: il modo migliore per farlo è sicuramente metterla per iscritto.
Usi, costumi e gergo

Nasce quindi “Co digo, digo! – Usi, costumi e gergo dei veneziani”, prodotto dalla casa editrice che più di ogni altra promuove testi dedicati al linguaggio e ai dialetti, con il Veneto al primo posto – cioè Editoriale Programma, con sede a Treviso. Il titolo è riadattato dal detto “’Rivo co ’rivo, ma co rivo, ’rivo!”: arrivo quando arrivo, ma quando arrivo, arrivo per davvero. In questo caso sarebbe “Digo co digo, ma co digo, digo!”, ovvero se parlo, parlo per davvero: è una frase che racchiude tutta la venezianità di cui sopra, l’essenza di un popolo che ha una dimensione spazio-temporale a sé stante, che comunica e si muove con i propri tempi e tuttavia riesce a imporre la propria importanza anche solo parlando.
Tra le pagine molto spazio è dedicato alle parole false friend, ai doppi sensi e ai significati, ai termini polisemici, ma attraverso il linguaggio Carlotta ci fa anche da guida turistica, con uno sguardo spigliato sulla singolare toponomastica del capoluogo, qualche aneddoto sulle esperienze tra batèi e cicchetti e svariati consigli su come affrontare Venezia da forèsti.
Contribuisce al quadro anche Tommy Gondolier, altro creator lagunare interpellato come esperto di gondole e derivati, e una serie di illustrazioni a richiamo delle classiche vedute veneziane, ma eseguite in digital art per restare nel 2024. In tutto il libro ciò che traspare è principalmente l’amore incondizionato per Venezia e i suoi abitanti, un amore che Carlotta rivendica e sbandiera spesso a ragion veduta: lo ritroverete anche in alcune sezioni più personali del volume, e il rischio di passare dal borèsso alla lacrimuccia sarà altissimo. D’altra parte, è ciò che succede quando si ascolta chi sa raccontare bene ciò che ama, soprattutto se quando parla, parla per davvero.
Sinossi

Il dialetto è la lingua della pancia, quella con cui ti arrabbi e ridi meglio, con cui esprimi appieno le emozioni. Nel caso di Venezia, il dialetto definisce più che altrove la città stessa e l’identità dei suoi abitanti, vecchi e nuovi: ci sono parole specifiche per gli elementi di architettura e per la toponomastica, ci sono definizioni, appellativi e modi di dire plasmati sulla vita tra i canali, per le feste, il meteo, l’amore. Il dialetto lagunare svela l’anima dei veneziani, racconta cosa rende unica la città e dimostra che Venezia è viva.
Nessuno meglio di una local come Carlotta Berti, creator nativa del Lido di Venezia, può guidarvi tra calli e saluti, cicchetti e doppi sensi per farvi scoprire il lato più autentico, comico e poetico della sua città.
Numero pagine: 128
Formato: 11 x 20 cm
Prezzo (in abbinata): 9.90 €
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