In barca fino alla fine del mondo salvata coppia di terrapiattisti
Volevano arrivare alla fine del mondo. Ma, salpati da Chioggia tra fine marzo e inizio aprile si sono fermati a Ustica. Che proprio vicino vicino non è, ma insomma, neppure finisterre. Terrapiattisti convinti per loro stessa ammissione. E pure negazionisti del Covid 19. «Quando ci siamo avvicinati per soccorrerli, e poi sottoporli ai tamponi come da prassi visto che eravamo in piena emergenza Covid-19», racconta uno dei medici intervenuti, «erano convinti che nei tamponi ci fosse mercurio, e che noi volessimo contaminarli». Per non dire dei telefonini. I carabinieri si avvicinavano e loro due, vendendoli gesticolare al telefono, si allontanavano. «Andate via, le radiazioni, le radiazioni!». Ha dell’incredibile la storia dei due terrapiattisti veneziani - raccontato ieri dalla Stampa – che lo scorso aprile, in pieno lockdown, sono stati soccorsi a Ustica, intercettati e aiutati dalla capitaneria di Porto: lui veneziano di 42 anni, lei 28enne di Motta di Livenza. Salpati con una barchetta a vela di 5 metri, sacchetto di bacche per nutrirsi e un po’ d’acqua.
Con un obiettivo: arrivare a Lampedusa e dimostrare che Galilei aveva torto, e la terra è piatta. Guidati da un piccola bussola funzionante, tra l’altro, proprio grazie alla gravità terrestre. Il loro viaggio però - dopo una tappa probabilmente fatta a Lecce - si è concluso a Ustica dove, arrivati stremati e cotti dal sole, volevano fermarsi e sbarcare per fare rifornimento di bacche, di cui erano rimasti senza. «Erano molto provati, magrissimi, probabilmente non più di quaranta chili ma allo stesso tempo sereni», racconta Francesco Cascio, uno dei medici che li ha raccolti. A Ustica i due non sono stati fatti scendere.
La capitaneria li ha scortati, per più di 33 miglia, fino a Palermo. «Mai capitata una cosa del genere», racconta il sindaco di Ustica, Salvatore Militello, «la barchetta è stata intercettata durante i controlli perché eravamo in piena emergenza Covid e c’erano specifiche ordinanze che impedivano lo sbarco. Così, dopo averli soccorsi sono stati scortati fino a Palermo, anche se loro si sarebbero voluti fermare a Ustica, convinti che invece fosse Lampedusa». A Palermo i due sono stati sottoposti a tampone, ma che fatica. «Pensavano che volessimo avvelenarli, erano convinti che nei tamponi ci fosse il mercurio», racconta ancora Francesco Cascio. Tampone - che poi ha dato esito negativo - e quarantena di due settimane. Dalla quale hanno cercato di scappare due volte. Due tentativi di fuga finiti peggio. La prima volta hanno cercato di scappare via mare, ma la Capitaneria di porto se li è andati a riprendere senza fretta un paio d’ore dopo che erano salpati. Del resto non erano andati molto lontano. La seconda volta tentativo di fuga a piedi, anche questa volta fallito. A quel punto i due sono stati controllati a vista e sono riusciti a tornare a casa, legalmente e via terra, solo quando le misure imposte per il contenimento del coronavirus sono state allentate, mentre la barca è rimasta in porto a Palermo. Se la terra è piatta la scienza dovrà aspettare. Questa volta è andata male. «La cosa divertente è che si orientavano con una bussola, strumento che funziona sulla base del magnetismo terrestre, principio che loro, da terrapiattisti, dovrebbero rifiutare», ha raccontato anche alla Stampa Salvatore Zichici, il medico dell’Ufficio di sanità marittima del ministero della Salute che si è trovato a gestire la vicenda dal suo presidio di Palermo. —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia