«In arrivo 1.380 milioni di euro per le manutenzioni dei fiumi»

Presentato il piano per il consolidamento degli argini, la manutenzione e la pulizia dell’alveo fino al 2021 Baruffi (Distretto idrografico Nord Est): «Basta libri dei sogni, servono interventi concreti e tempi certi»
SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' DI PIAVE - ALLUVIONE 1966 - IL PONTE STRADALE
SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' DI PIAVE - ALLUVIONE 1966 - IL PONTE STRADALE

VENEZIA. Milletrecentoottanta milioni di euro dell’Unione europea e del governo. Da spendere in sei anni, di qui al 2021, per la sicurezza idraulica dei fiumi veneti. Cominciando con il consolidamento degli argini, la manutenzione e la pulizia dell’alveo. Senza grandi opere faraoniche e contributi a pioggia. A 50 anni dalla grande alluvione si cambia rotta. Applicando finalmente la Direttiva europea sulle alluvioni del 2007, rimasta nel cassetto fino al febbraio scorso. Partono le nuove Autorità di bacino - o di distretto - che dovranno coordinare gli interventi con logica diversa dal passato, perché «i fiumi non hanno confini geografici».

(Immagini dell'Archivio Consorzio di Bonifica, Angelino Battistella, Aldo Milanese, Ing. Moro)

SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - JESOLO - ALLUVIONE 1966 - vie del centrodi jesolo invase dall'acqua
SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - JESOLO - ALLUVIONE 1966 - vie del centrodi jesolo invase dall'acqua

Lo hanno spiegato ieri a palazzo Michiel, sede del Distretto delle Alpi orientali, il direttore generale del ministero per l’Ambiente Gaia Checcucci e il coordinatore del Piano di gestione del rischio alluvioni del Distretto idrografico del Nord Est, Francesco Baruffi. «L’Italia era all’avanguardia nella difesa del suolo», attacca Checcucci, «con la legge 183 del 1989 e le prime Autorità di bacino. Poi tutto si è fermato. Adesso in soli sei mesi sono stati fatti i decreti attuativi. E sono state messe in bilancio del ministero nuove risorse».

«Un Piano che ha come primo orizzonte temporale il 2021, dopodiché dovrà essere aggiornato», spiega l’ingegner Baruffi, «l’Europa ci chiederà il conto di quello che siamo riusciti a fare». La logica diversa significa partire dalla manutenzione del fiume. Attività abbandonate in questo mezzo secolo trascorso dall’alluvione del 1966. Il Veneto è terra di fiumi, alpini e di risorgiva, con pendenze forti che arrivano a valle dalla montagna. Portate d’acqua enormi, che in condizioni di emergenza faticano a essere contenute nell’alveo del fiume. Così successe nel 1966, quando decine di rotte degli argini a valle provocarono allagamenti e distruzioni. Lungo la linea delle risorgive, dove la montagna lascia il posto alla pianura, si verificarono i maggiori danni e le disastrose rotte e alluvioni nel 1882 e 1966. Da allora ben poco si è fatto.

L'alluvione nel Veneto orientale
L'alluvione nel Veneto orientale

Baruffi si presenta con in mano i due corposi volumi dello studio della commissione De Marchi. Nel 1970 esperti tra i più autorevoli in Italia stilarono un elenco di opere urgenti da realizzare per contenere le piene nei principali fiumi veneti: Brenta, Piave, Adige, Livenza, Tagliamento. Isonzo, Bacchiglione, Sile. Nulla o quasi è stato realizzato, a parte la diga di Ravedis in Friuli.

«Veneto orientale in ritardo servono opere strutturali»
L'alluvione nel Veneto orientale

«Ma la novità di oggi» spiega l’ingegnere, «sta proprio in questo cambio di rotta: niente più libro dei sogni, con progetti eterni che non si possono finanziare. Ma interventi diffusi e in progress. Con l’obiettivo di prevenire e intervenire, ma anche di “convivere” quando gli interventi non sono possibili, gestendo le alluvioni. «Nella recente alluvione di Vicenza, sei anni fa», dice Baruffi, «ci si è accorti che il costo di quella tragedia, 450 milioni, era di molto superiore a quanto sarebbe costata ad esempio una rete di allertamento».

La rete oggi funziona, e i cittadini possono vedere sul loro telefonino lo stato meteo e l’eventuale rischio alluvioni. «Abbiamo imparato da Venezia, si chiama resilienza: quando sai che viene l’acqua alta alzi la merce da terra e ti metti gli stivali». Quali i primi interventi che saranno finanziati nel Piano di gestione? Il controllo degli argini, anche con tecnologìe a fibra ottica - come in uso in Olanda - o semplicemente con la sorveglianza dei custodi, come si faceva una volta. Un argine è una difesa che ha bisogno di manutenzione. Poi con interventi di “laminazione” che possano aiutare il deflusso delle acque in caso di piena. Tra le opere strutturali saranno ripresi i progetti dei serbatoi nei fiumi Brenta e Piave, per utilizzare al meglio bacini preesistenti. Si dovrà esaminare a fondo il progetto dell’Idrovia Padova-Venezia, da utilizzare come canale scolmatore in laguna in caso di piena del Brenta. Infine la salvaguardia dei beni culturali, creando squadre specializzate per mettere in salvo il patrimonio artistico in caso di emergenza. Lezioni nelle scuole per insegnare il senso di termini ingegneristici complessi (resilienza, laminazione) e una nuova urbanistica che possa evitare i gravi errori del passato. Nonostante il Veneto sia terra di alluvioni si è continuato a costruire nelle aree golenali, a volte quasi a ridosso dell’alveo dei fiumi. «L’acqua dei grandi fiumi viaggia a quattro-cinque metri al secondo, dice l’ingegnere, in caso di piena si porta via tutto. Non è solo una questione ambientale, ma anche economica».

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