In 15 punti la colpevolezza di Dekleva

Omicidio Manca, le motivazioni della condanna in appello: 9 gravi indizi, tre bugie e altrettante obiezioni “smontate”
Di Roberta De Rossi
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto Renzo Dekleva all'uscita del Tribunale, condannato a 20 anni e 6 mesi.-
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto Renzo Dekleva all'uscita del Tribunale, condannato a 20 anni e 6 mesi.-

VENEZIA. Condanna in appello in 15 punti: nove «gravi e precisi indizi fra loro concordanti», tre risposte a obiezioni della difesa rispedite al mittente, altrettante bugie e contraddizioni dell’imputato, sono costati la conferma in Appello della condanna di Renzo Dekleva per l’omicidio della moglie Lucia Manca. Nei giorni scorsi, i giudici della Corte d’Assise d’appello di Venezia, presidente Luisa Napolitano, hanno depositato le motivazioni della sentenza, richiamando ripetutamente la sentenza di primo grado della giudice Marta Paccagnella, che aveva accolto l’accusa della pm Francesca Crupi.

Nove gravi e precisi indizi. Uno: «L’imputato è l’ultima persona che è stata vista con la moglie in vita nella casa coniugale verso le 19.30 del 6 luglio 2011». Due: «La Manca è stata uccisa mentre si trovava nella sua abitazione, quando il suo cadavere venne rinvenuto il 6 ottobre 2011 a Cogollo del Cengio aveva indosso solo slip e abito da casa, né scarpe né oggetti e nemmeno quell’anello Damiani con zaffiri e brillanti che quotidianamente indossava quando usciva, ritrovato a casa dove era solito riporlo». Tre: «I coniugi Manca-Dekleva litigavano di frequente, da quando lei aveva casualmente scoperto la relazione extraconiugale del marito, anche se (...) per quanto sofferente e depressa, confidava ancora nella possibilità di recupero, tanto che aveva programmato di lì a poco una vacanza al mare con il marito». Quattro: «La vittima cominciava a temere le reazioni violente del marito nel corso dei litigi, come aveva confidato al fratello e a un’amica». Cinque: «Per gelosia Lucia Manca aveva “indagato” sulla relazione adulterina del marito, identificando l’amante, contattandola (....) le due donne stavano quindi per conoscere la verità e la possibilità per Dekleva di continuare a gestire la sua doppia vita era a quel punto a serio rischio». Sei: «La sera del 6 luglio, l’imputato aveva un appuntamento con l’amante (...) è plausibile immaginare che quell’uscita serale determinò una reazione della Manca». Sette: «E’ stato accertato (dallo scontrino autostradale con la sua impronta, ndr) che nella notte tra il 6 e ol 7 luglio l’imputato, lasciata l’amante, dopo essere tornato a casa si recò in autostrada a Piovene Rocchetta, nella zona dove in seguito è stato trovato il corpo della moglie». Otto: la saliva di Lucia trovata dai carabinieri del Ris nel bagagliaio dell’auto del marito. Nove: la microfrattura perimortale trovata dai i periti Cattaneo, De Angelis e Meneghini sui resti della donna e «riscontro di un trauma caratterizzato da un movimento di rotazione flessione del capo».

Le unghie finte intatte. Poi le risposte alle obiezioni della difesa, che contestava la possibilità di stabilire causa e data della morte della donna. I giudici non hanno dubbi, ricordando che i periti hanno giudicato compatibile con il decesso la data del 6 luglio; la causa della morte per asfissia «per soffocamento o strozzamento rappresenta l’ipotesi privilegiata di morte quando ci si confronta con un’ennesima lite familiare, in cui ragionevolmente senz’armi e veleni, una donna minuta (poco più di un metro e mezzo, dimagrita al punto da preoccupare seriamente chi le voleva bene) ed un uomo prestante e molto alto (un metro e novanta nel vigore delle forze, se come riferito dall’amante veniva da lui presa in braccio) si affrontano e il più debole facilmente soccombe». Spiegato così anche il fatto - obiettato dalla difesa - che la donna avesse le unghie artificiali intatte.

Le contraddizioni. Partendo dal «fatto che a tutt’oggi continui a sostenere che la moglie si allontanò spontaneamente da casa la mattina del 7 luglio» per andare in banca, in «evidente contraddizione fra la mancanza di telefonate fatte dal Dekleva agli ospedali la mattina del 7 luglio e quanto diversamente riportato nella denuncia di scomparsa della moglie».

Giustificazioni inverosimili. I giudici d’appello definiscono poi «inverosimili» le giustificazioni del viaggio a Folgaria (andare a recuperare un rullino di foto con l’amante nella casa di montagna, ndr) «tardivamente prospettate oltre due mesi dopo, perché al momento della denuncia della scomparsa Dekleva non riferì ad alcuno di questo singolare viaggio». Come «indimostrato che Lucia fosse uscita per andare in banca, considerato del tutto inadeguato a una donna come lei l’abbigliamento (slip e vestitino Lacoste) trovato addosso al cadavere».

La difesaUnica concessione alla difesa, lo sconto di un anno e 8 mesi rispetto alla condanna di primo grado, per occultamento di cadavere e non soppressione, perché il corpo venne abbandonato a pochi metri da una strada transitabile e nascosto sotto una coltre di foglie. I legali Someda e De Danieli dovranno valutare il ricorso in Cassazione contro la condanna a 19 anni e 8 mesi.

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