In 1200 da tutto il mondo per gli abissi pop di Hirst
VENEZIA. Nella rete dell’incredibile, tra abissi oceanici ravanati dai sub, statue egizie con le fattezze di Kate Moss e interi pescherecci di molluschi bivalvi; in un’accozzaglia di finti tesori e vera paccottiglia marina ma in materiali pregiati; in questo scherzo pop-archeologico, dove ciò che sembra non è, e viceversa, cade infine l’ultimo mistero sulla doppia, smisurata, mostra di Damien Hirst.
Punta della Dogana e Palazzo Grassi si aprono ai milleduecento invitati con code mai viste e svelano quel che era rimasto segreto per dieci anni, ossia il risultato del patto di ferro tra Francois Pinault e l’artista inglese osannato, vituperato, caduto e ora risorto più esagerato che mai al di qua e al di là del Canal Grande.
Giubbotto nero e lunga collana d’oro, un bambino al seguito che ha già imparato a coprirsi la faccia con il cappuccio della felpa, Hirst lascia che a parlare siano le sue opere «nelle quali ciascuno potrà vedere quello che vuole». Renzo Rosso, ad esempio, vede una mostra «bellissima» e cerca di capire se le opere siano in vendita. «Seguo Hirst da molto tempo e lo considero veramente un grande artista - dice il patron della Diesel - ora mi voglio godere l’opera».
Come fosse un anticipo di Biennale, la cultura si fa subito rito mondano; diventa la prima, implacabile, conta del chi c’è e chi manca, di quello che detterà la moda - ruches e borsine di paglia -, della corsa all’invito per la festa che ieri sera, dopo la cena all’hotel Bauer, ha visto rimbombare l’Arsenale con il rock dei Red Hot Chili Peppers.
Tra le duecento opere incostrate di coralli, meduse, spugne, conchiglie, cozze che compongono “Treasures from the wreck of the Unbelievable” - Tesori dal relitto dell’Incredibile - sfilano mezza Parigi e la curatrice della mostra Elena Geuna, il direttore dei due musei veneziani di Pinault, Marthin Bethenod, i galleristi arrivati da tutta italia, gli artisti con Federica Marangoni, e ancora Miuccia Prada, Piergiorgio e Franca Coin, Luca Massimo Barbero, Nori Starck, Luigino Rossi, Manuela Pasetti, Giandomenico Romanelli, Anna Adriani, Marino Folin in nero, segno che la bella stagione sembra, ma non è ancora arrivata.
Infatti si pentono amaramente le signore del XVI arrondissement invitate al light lunch di Christie’s all’Harry’s bar e arrivate già in sandali, con tacchi che incespicano tra i masegni e poi dondolano perplessi davanti ai diciotto metri di statua di bronzo che, come un Gulliver senza testa, svetta nell’atrio di Palazzo Grassi sfiorando con i lombi gli archi del loggiato.
Nel gioco degli inganni, lì dove ogni cosa si confonde con la sua copia reale; nel trionfo dei miti classici riverditi con quelli di Disney - la divinità greca accanto a Pippo e Mowgli, lo stesso Hirst con Topolino in mano - anche il vero corre il rischio di sembrare falso, come i lapislazzuli, l’agata bianca, gli ori, gli smeraldi, la tomalina verde, le perle, i rubini, i topazi buttati come un semina su natiche, seni bocche, rocce, monoliti, ruote giganti, leoni al guinzaglio, meduse pazze e donne guerriere.
Era invece verissima la conchiglia Nautilus (con teschio) acquistata nella gioielleria Eleuteri, in via XXII Marzo, dagli amici di Hirst per farne un gentile cadeau all’artista che, l’altra sera, l’ha trovata al suo rientro nella suite dell’hotel Gritti. Regalo gradito e a tema: un ricordo lillipuziano della sua consacrazione veneziana, costata, pare, svariati milioni di euro.
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