«Impedire l’ingresso a scuola è un reato»

La Cassazione interviene sull’occupazione per alcune ore del liceo scientifico Bruno avvenuta nel novembre di 5 anni fa
Di Francesco Furlan

Le occupazioni, soprattutto se improvvise, ledono i diritti di chi invece a lezione ci vuole andare, e per questo chi le compie commette il reato di violenza privata e interruzione di pubblico servizio: per protestare è meglio ricorrere a forme più soft, come l’autogestione.

Lo dicono i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione che si sono pronunciati sul ricorso presentato dall’avvocato Alfiero Farinea che chiedeva l’assoluzione per uno studente che, all’epoca 17enne, era stato denunciato dopo aver occupato il liceo Bruno, e aveva poi ottenuto il perdono giudiziale dal giudice per le udienze preliminari del tribunale dei minori. L’avvocato del ragazzo nel suo ricorso in Cassazione ha sostenuto che l’occupazione della scuola rientra nel diritto alla libertà di associazione, tutelato dall’articolo 18 della Costituzione. Ma l’interpretazione della Cassazione va in tutt’altra direzione.

È una sentenza, quella della suprema corte, che farà discutere. Perché - si interrogano già gli studenti - che occupazione è se poi a scuola ci sono docenti e studenti che entrano a fare lezione? L’episodio su cui si è pronunciata la Cassazione risale al novembre del 2011 quando un gruppo di studenti del Coordinamento occupò per alcune ore il liceo scientifico di Mestre provocando la reazione della dirigente, Paola Franzoso - andata in pensione poco dopo - con l’arrivo della polizia e la denuncia del leader della protesta e portavoce del Coordinamento studentesco, un 17enne con il quale anche nei mesi precedenti c’erano stati aspri confronti.

Quella denuncia, secondo quanto stabilito dalla Cassazione, era fondata quindi su validi motivi. La Cassazione - confermando la sentenza emessa dal Gup nel 2014 - ha infatti rilevato che «i giudici di merito non hanno affatto negato» allo studente «la titolarità del diritto di sciopero (diritto peraltro difficilmente riconducibile alle situazioni soggettive ravvisabili in capo allo studente), di riunione o di manifestazione del pensiero» ma hanno «chiaramente affermato, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte che lo stesso esercizio di diritti fondamentali, quali quello di sciopero, riunione e di manifestazione del pensiero, cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti». E tra questi c’è quello di andare a scuola.

«L'occupazione temporanea della scuola per circa due ore, ha di fatto impedito ai non manifestanti di svolgere le consuete attività di studio per un tempo apprezzabile, con conseguente ingiustificata compressione dei loro diritti».

Già all’epoca l’occupazione della scuola - era una forma di protesta contro il governo Monti - era stata molto dibattuta tra gli studenti, compresi i quattro rappresentanti di istituto, visto che due non erano stati messi a conoscenza della volontà di occupare la scuola da parte degli altri due, e degli aderenti al Coordinamento. Per la Cassazione c’erano altre forme, meno lesive dei diritti di tutti, per mettere in atto la protesta come ad esempio un’autogestione programmata, e con l’obbligo di preavviso, così da aprire un dialogo con gli studenti. Il diretto interessato, ora studente universitario all’Università di Bologna, e l’avvocato Farinea preferiscono non commentare prima della lettura integrale della sentenza. La Corte inoltre si esprime anche sull’obiezione fatta dallo studente il quale sosteneva che iniziative simili fatte nei mesi scorsi non erano state seguite da provvedimenti drastici da parte della dirigente: «Nessuna norma autorizzava l'imputato ad associarsi con altri studenti nella maniera da lui pretesa e a comprimere il diritto di coloro che volevano partecipare allo svolgimento delle lezioni o a rendere la prestazione lavorativa».

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