Il Veneto perde 1200 posti letto ma guadagna servizi e assunzioni
Un giorno e una notte trascorsi a ritagliare il nuovo profilo della sanità veneta, fino al voto mattutino (erano le 8.10) che ha sancito l’approvazione delle schede di programmazione ospedaliera e territoriale sostenute dalla maggioranza Lega-Pdl. Le schede sono il braccio operativo del nuovo Piano socio-sanitario, la road map quinquennale che mira a riformare la politica del welfare, sia nell’approccio al paziente che nella compatibilità finanziaria del sistema rispetto al previsto calo di stanziamenti pubblici.
La commissione sanità del consiglio regionale, presieduta da Leonardo Padrin, ha sostanzialmente recepito la rotta tracciata dall’esecutivo di Luca Zaia: «Siamo già ad un passo epocale nell’organizzazione del settore che più sta a cuore ai cittadini, la salute», commenta il governatore «per curare al meglio la nostra gente abbiamo adottato un approccio innovativo: utilizzo più razionale delle risorse attraverso l’applicazione dei costi standard sui quali Roma continua colpevolmente a cincischiare; ventaglio terapeutico che prevede cure più moderne e tempestive; macchinari di ultima generazione disponibili per tutti e riduzione del ricorso, sempre sgradito, al ricovero ospedaliero. Sulle liste d’attesa, poi, parla per tutti il grande successo che sta riscuotendo l’operazione Ospedali aperti di notte».
Ma in che consiste, nel concreto, il processo in atto? In Veneto l’«industria della salute» assorbe oltre il 60% del bilancio regionale (8,3 miliardi all’anno), vanta conti in attivo e occupa 58 mila persone, distribuite tra pubblico (88% del totale) e privato. È un colosso, che si snoda in 51 ospedali e 25 tra Ulss e Aziende. È attrezzato per offrire prestazioni di qualità elevata ma sconta tuttora una vecchia concezione «generalista» che privilegia la degenza rispetto alla cura diffusa sul territorio, concentrando così energie umane e materiali su una rete ospedaliera non immune da duplicati, sacche di inefficienza, esuberi. La riforma in cantiere prova a invertire questa tendenza, riducendo anzitutto i posti letto con un taglio di 1200 unità che ne fissa il limite a 17.300; introducendo un blocco sostanziale dei primariati - ne sono stati concessi 6 in più rispetto agli attuali 758, andranno a Verona (2), Padova (2), Alta Padovana e Iov - e avviando la fusione dei reparti «doppione» più vistosi. In effetti, la scure annunciata e paventata da più parti, somiglia molto a un temperino che infine ha accolto più istanze di quante ne abbia respinte. Tanto più che accanto all’istituzione di dipartimenti ex novo - quali l’Odontoiatria per disabili e la Psicologia ospedaliera - compare lo sblocco de facto delle assunzioni, decretato da un atto che vincola la Regione a coprire l’organico (oggi carente) dei servizi attivati.
Chi scommette sul potenziamento delle cure sul territorio come alternativa al ricovero sistematico, è l’assessore Luca Coletto: «In Veneto non si era mai vista un’articolazione così capillare e tarata sulle necessità delle persone a cui rispondere vicino a casa e fuori dagli ospedali per acuti. Penso agli ospedali di comunità e alle medicine di gruppo, da far partire subito; al rafforzamento del sistema di urgenza-emergenza; alla diffusa presenza di punti di primo intervento e di servizi per la diagnostica». Nel frattempo, proteste e critiche non mancano... «Come sempre, quando viene varata una riforma di tale portata, c’è chi storce il naso e chi grida alla mannaia. Esorto tutti a non fare demagogia, se qualche aspetto del piano non darà le risposte attese c’è la massima disponibilità a porvi rimedio». Dove l’allusione corre al dibattito in aula che potrebbe riservare ritocchi all’impianto di base.
In commissione (pur tra momenti collaborativi che hanno indotto Padrin a plaudire «il dialogo costruttivo tra persone oltre gli steccati politici») l’opposizione ha espresso voto contrario. «Al di là di alcune correzioni positive, la strada imboccata è chiara: tagliare posti letto ospedalieri senza garantire in cambio servizi e risorse nei territori. Quando e dove vedranno la luce gli ospedali di comunità, gli hospice, i centri per l’alzheimer e la sclerosi multipla?», chiede Claudio Sinigaglia (Pd) «perché dimezzare il numero dei distretti? Perché eliminare un gran numero di responsabili di psichiatria per l’infanzia e l’adolescenza, la disabilità e la non autosufficienza? Su questi nodi rimane il buio assoluto». Soddisfazione dalla Lega, per voce di Federico Caner e Arianna Lazzarini («La nostra sanità ci rende orgogliosi») e da parte del capogruppo pidiellino Dario Bond («Un buon lavoro, il punto d’equilibrio è stato raggiunto») mentre Antonino Pipitone, medico-consigliere dell’Idv parla di «errori e incongruenze» e Antonio De Poli (Udc) liquida il tutto «uno spot propagandistico di Zaia».
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