Il trucco delle liste bloccate
Come le peggiori polpette. Il Parlamento che uscirà dal voto di febbraio si preannuncia dello stesso sgradevole sapore: perché fatto con gli avanzi della volta prima, e con gli stessi deprecabili metodi. A scorrere il menu dei candidati che tra oggi e domani verrà ufficialmente messo in tavola, si coglie un largo e trasversale ricorso alla ricetta di mastro Calderoli, chef principale (ma non esclusivo) di quel “porcellum” che a parole stava indigesto a tutti; e adesso si capisce molto bene perché non l’hanno cambiato. Diventerà ancora più chiaro quando, la sera del 25 febbraio, scorreremo l’elenco dei cosiddetti eletti: allora si potrà toccare con mano quanto ogni partito abbia tenuto conto degli elettori, o abbia piuttosto rifilato loro una polpetta rancida, grazie al trucco delle liste bloccate.
Va dato atto al Pd di averne fatto un uso molto più contenuto; senza peraltro evitare l’eterno ritorno di troppi presenzialisti ad oltranza, nei quali il rinnovamento scatena la sindrome nimby: fatelo dapperttutto, ma non nel mio giardino. Un elenco destinato a incrementarsi se il partito, come appare verosimile, vincerà le elezioni e andrà al governo: disponendo così di una riserva di ulteriori posti a sedere, da distribuire a chi è rimasto in piedi. Le stesse primarie, pur apprezzabili, sono state utilizzate in alcune situazioni dagli apparati locali per promuovere figure inedite sì, ma di dubbia adeguatezza al compito.
Il principale avversario peraltro si colloca su un livello diametralmente opposto: un Pdl ridotto a videogioco privato di Berlusconi colloca i singoli pezzi a esclusivo piacimento del manovratore, premiando i signorsì, paracadutando gli estranei, ricorrendo senza vergogna ai pluri-inquisiti nei luoghi in cui la partita si fa più strategica. E in più usando le istituzioni come generosi regali: vedi la Lombardia concessa alla Lega, e peggio ancora il Lazio ceduto a un nanerottolo del 2 per cento (a proposito dell’appello del Cavaliere a non disperdere il voto nei piccoli partiti…). Lungi dall’opporsi al delirio di onnipotenza del Sovrano, i cortigiani si prostrano a costo di sfidare il comune senso del pudore: come in Veneto, dove i valletti di Arcore arrivano perfino a sostenere che le liste sono farcite di novità. Dimenticando di aggiungere: nei posti perdenti.
Non sfuggono al richiamo del “porcellum” neppure le nuove formazioni: come dimostrano, anche in Veneto, i casi di Italia Futura e di Rivoluzione Civile. Alla fine, fa comodo a tutti fare leva sui cooptati, ricorrendo a gregari non a caso piazzati in lista in luoghi ben lontani da quelli in cui vivono; e dove non si faranno mai più vedere una volta vinta la lotteria del seggio.
A tutto ciò fa riscontro un’altra porcata non da meno, quella dei capilista plurimi: Berlusconi, Fini e Ingroia si presentano addirittura in tutti i collegi, Tabacci in dieci, Casini in cinque, Bersani in tre. Così altre decine di posti verranno decise dagli apparati anziché dagli elettori. A riprova che i partiti, anziché impegnarsi a fare formazione di nuovo personale politico, preferiscono fare la formazione da schierare nelle urne. Con la differenza, rispetto a una squadra di calcio o di rugby, di puntare non sui migliori ma sui mediocri, utilissimi per obbedir tacendo o per vendersi alla bisogna: come ampiamente dimostrato da troppi esponenti del Parlamento uscente. Con il rischio che un giorno o l’altro qualcuno, a Palazzo, trasformi in impegno politico l’acida battuta di Corrado Guzzanti: se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli, questi benedetti elettori!
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