Il Tribunale dei popoli esamina il caso Mose

VENEZIA. «Il Consorzio Venezia Nuova non aveva alcun bisogno di pagare tangenti per vincere gli appalti dei lavori, avendone per legge la concessione unica, cioè il monopolio degli studi, delle sperimentazioni, delle opere e persino dei controlli. Lo scandalo Mose non è solo ordinaria corruzione». Con queste motivazioni l’associazione Ambiente Venezia ha deciso di costituirsi parte civile al processo che inizia il 22 ottobre in Tribunale. «Per tutelare i cittadini», dice il portavoce Luciano Mazzolin, da una vicenda che ha devastato la laguna e sottratto risorse alla città. L’inchiesta della Magistratura ha fatto emergere solo l’aspetto corruttivo, non il perché di questa corruzione».
La tesi dei comitati è nota. Dopo l’inchiesta, occorre andare in profondità nel “sistema” che ha governato la salvaguardia a Venezia negli ultimi 25 anni. «I fondi neri, le mazzette, le regalìe e le sponsorizzazioni», si legge nella memoria depositata, «servivano in realtà a pagare i preposti al rilascio delle autorizzazioni e per comprarsi il consenso in città». «Poco o nulla si è fatto invece», accusa AmbienteVenezia, «per verificare le anomalie tecniche e i malfunzionamenti dell’opera, su cui invano da anni chiediamo un confronto pubblico».

Confronto che non c’è mai stato. Nemmeno quando, ricordano i comitati, fu il Comune di Venezia, allora guidato da Massimo Cacciari, a chiedere nel 2009 un parere alla società internazionale di ingegneria franco-canadese Principia. Il rapporto tecnico si concluse allora con la denuncia che le paratoie del Mose in caso di eventi meteo estremi «possono andare in risonanza». Cioè non funzionare. «Stupidaggini», le aveva definite allora il presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cucioletta.
Ma gli ambientalisti non demordono. E hanno presentato anche una denuncia al Tribunale permanente dei popoli, organismo di fama internazionale fondato a Bologna nel 1979 da Lelio Basso sulla scia del Tribunale Russell contro le dittature e presieduto da Franco Ippolito. Il Tribunale ha esaminato negli anni ricorsi su problemi ambientali in tutto il mondo. Sabato sarà in laguna per le audizioni a esperti e del settore e intellettuali. La «sentenza» sul caso Venezia è attesa per la metà di novembre, le udienze si terranno a Torino dal 5 al 9 novembre.
I comitati consegneranno anche al Tribunale dossier e denunce presentate negli ultimi anni sulla vicenda. E una denuncia aggiornata sui tanti «buchi neri» della storia del Mose. «Un progetto scelto dal monopolista non perché fosse il migliore, dal momento che il confronto sulle ipotesi alternative non è mai stato fatto», dicono, «ma perché era il più costoso, e anche il più impattante sull’ambiente. Ed essendo costruito sott’acqua necessita di una manutenzione continua». Le 78 paratoie del sistema di dighe mobili devono infatti essere rimosse periodicamente, scrostate e pitturate nella base dell’Arsenale. Ogni mese viene sollevata una paratoia, che dunque viene ripulita ogni cinque anni. «Un intervallo troppo lungo», contesta l’architetto Fernando De Simone, autore di un progetto alternativo, «gli scafi delle navi hanno bisogno di una manautenzione molto più frequente».
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