Il rugbista di Mestre ha messo in salvo 50 profughi ucraini. «Avrei voluto solo portarne di più»

Alessandro Causin è rientrato da Cracovia: «Qualcuno è rimasto a terra, ma tornerò». L’impegno e l’aiuto dei suoi compagni di squadra

Marta Artico
Alessandro Causin con alcuni dei bambini che è riuscito a portare al sicuro
Alessandro Causin con alcuni dei bambini che è riuscito a portare al sicuro

MESTRE. Il momento più difficile è stato quando abbiamo dovuto lasciare a terra delle famiglie, perché in tanti volevano salire e non potevamo caricarli tutti: è stato straziante. Quello più emozionante quando un bambino mi ha dato il cinque, non appena giunto a destinazione a Conegliano, dicendomi grazie in un italiano appena imparato».

Alessandro Causin, mestrino a lungo giocatore di rugby, ieri sera è arrivato a Mestre, ultima tappa del suo lungo viaggio iniziato mercoledì alla volta di Przemyśl, città al confine tra Polonia e Ucraina, a caricare più persone possibili e metterle in salvo da amici, parenti, famiglie che possono ospitarle. Lontano dal dolore e dalla guerra.

Con lui, in viaggio, c’erano simbolicamente i compagni di squadra dell’Old Rugby Club “Le Mummie 1989 Venezia Mestre”, che hanno ingaggiato una catena di solidarietà per pagare le spese vive del viaggio.

«Abbiamo caricato 50 tra mamme e bambini», racconta, «il momento più difficile è stato a Cracovia, perché in tantissimi volevano salire. Ma noi non potevamo portarli tutti, per motivi di sicurezza. Montavano, ma poi dovevamo farli scendere e qualcuno è rimasto a terra. Una famiglia, nonna anziana mamma e figlie piccole, è rimasta giù, in un mare di lacrime». Attimi che Alessandro non potrà mai scordare.

Un viaggio emotivamente duro e complesso. «Ci hanno multato in Austria perché abbiamo pagato il telepass retroattivamente. A nessuno interessava che avessi i profughi in pullman».

Racconta: «A Cracovia è stata dura, perché chi saliva si arrabbiava con chi doveva scendere, volevano stringersi, ma non era possibile». È stato difficile scegliere? «La cosa più dura, anche perché chi è arrivato a Cracovia pensava ci fossero più bus, più passaggi, invece si deve attendere anche giorni. Sono persone senza nulla, prostrate. Quando il pullman diventa la tua speranza e te la vedi scivolare via sotto al naso ti disperi».

La cosa più bella? «Il sorriso del bimbo di 8 anni che mi ha battuto il cinque quando siamo arrivati a Conegliano, la gioia delle persone che si abbracciavano vedendo i parenti, e ci ringraziavano».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia