Il rock progressivo dei Quanah Parker trent’anni dopo

La band capitanata da Riccardo Scivales ricomposta per incidere brani storici e nuove canzoni

di Michele Bugliari

VENEZIA. I veneziani Quanah Parker, esponenti della seconda ondata del rock progressivo (quella degli anni Ottanta), tornano dopo quasi 30 anni con una nuova formazione per incidere per la prima volta i brani storici insieme ad una manciata di nuove canzoni. Nasce così l’album “Quanah!” (Diplodisc), co-prodotto dalla band e da Alessandro Monti che militò nella prima versione del gruppo. La band, capitanata da Riccardo Scivales, compositore e tastierista, ebbe una vita breve ma significativa tra il 1981 e il 1985. L’attività live, in quel periodo, portò la formazione ad essere stimata in tutto il Veneziano. Poi nel 2005, a 20 anni esatti dallo scioglimento del gruppo, il suo leader decise di rifondarlo con nuovi elementi. Dal 2010 dopo vari cambiamenti la formazione si è stabilizzata con la seguente line- up: Riccardo Scivales (tastiere e composizioni), Betty Montino (voce), Giovanni Pirrotta (chitarra), Giuseppe Di Stefano (basso) e Paolo “Ongars” Ongaro (batteria). La band, quindi, è entrata in studio di registrazione ed ha inciso una serie di brani della prima metà degli anni Ottanta (“No time for fears”, “Sailor song”, “Quanah Parker”, “After the rain”, “The garden awakes”, “Flight” e “Silly fairly tales”) accanto a nuove composizioni (”Chant of the sea-horse”, “The limits of the sky”, “Asleep” e “People in sorrow”). Nonostante il disco sia appena uscito l’effetto déjà-vu è inevitabile. I brani vecchi per lo stile compositivo e strumentale sono legati fortissimamente al primo rock progressivo degli anni Settanta più che a quello del decennio successivo che era già diverso. E’ evidente che Scivales durante la sua prima produzione sia in fase di composizione che di arrangiamento deve essere stato fortemente influenzato dai primi dischi di giganti come gli Yes, i Genesis, gli Emerson, Lake & Palmer e per l’Italia la Premiata Forneria Marconi e il Banco del Mutuo Soccorso. Gli elementi ci sono tutti: i riff ipnotici di chitarre e di tastiera, i lunghi assoli, i cambiamenti continui di ritmo e di atmosfere e i tempi dispari. L’unico elemento di discontinuità che si trova tra i vecchi brani dei Quanah e i loro modelli degli anni Settanta è che i primi mediamente hanno una durata inferiore, pur arrivando a toccare i sette minuti ma niente a che fare con i 10-20 minuti dei pezzi dei vecchi Genesis e Yes. Non ci sarebbe da meravigliarsi se la lunghezza originaria delle vecchie composizioni di Scivales fosse stata accorciata in sala d’incisione per adeguare i brani alle esigenze degli ascoltatori odierni. Tutte le tracce del disco, comunque, sembrano avere una loro valenza artistica. E le nuove composizioni sembrano rivelare, come è normale, uno Scivales più maturo dal punto di vista delle compositivo anche perché meno legato alla ripetizione di modelli musicali derivanti dall’ascolto delle grandi band inglesi del rock progressivo. Bravi i musicisti e la cantante che tira fuori tutte le sue potenzialità soprattutto nelle canzoni nuove.

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