Il politologo Feltrin: Comunali, voto M5s è l’ago della bilancia
Dibattito molto partecipato a Mestre al seminario di confronto con il professor Paolo Feltrin, politologo e docente di scienze politiche e sociali all’Università di Trieste, che con la sua analisi del voto ha tentato di dare la sveglia al partito di Renzi, impegnato a discutere sulle ragioni della sconfitta alle elezioni politiche. Come in una grande seduta di analisi di gruppo.
«Meglio non usare la parola populista perché impedisce ad un partito di capire cosa ha o meno di popolare, che è quel che serve per prendere i voti», mette in guardia Feltrin che spiega al Pd i suoi errori. «Le elezioni si vincono sempre per quel che dici che farai, mai per quel che dici di aver fatto», spiega. Per Feltrin Pd e sinistra non hanno capito che questa sconfitta elettorale è «figlia della sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016»; che c’è stata cecità di fronte ad un voto che è una «bandiera ben precisa di rivendicazione economico-sindacale» in una Italia «con redditi del 15% sotto i livelli pre-crisi; un numero di ore lavorate molto basse»; un ricorso rilevante a contratti a tempo determinato o stage mentre al Sud «il problema grave è la ridistribuzione dei redditi». Le ricette di sinistra «non sono risultate credibili». E mentre il Pd si interroga, discute e si arrabbia tuonando contro i populisti Salvini e Di Maio, alle porte ci sono le elezioni comunali di giugno, con quattro Comuni al voto.
Feltrin avverte: «Il vero problema alle comunali è chi va, al secondo turno, a fare il terzo, ovvero come si comporta il partito o coalizione esclusa rispetto alle due che vanno al ballottaggio. Se io ho un ballottaggio centrodestra-centrosinistra, dove vanno gli elettori cinque stelle? Ogni volta che vanno loro al secondo turno, o da centrodestra o da centrosinistra vanno verso di loro», spiega il politologo. E se sono i cinque stelle il terzo? Feltrin se la ride: «Dipende da Comune e Comune, il problema è intercettare il voto dei cinque stelle se sono loro il terzo. E capire come criticarli in campagna elettorale, sapendo che magari tornano utili al ballottaggio». Al dibattito mestrino all’Officina del gusto, organizzato dalle associazioni AReS e reStart, hanno partecipato anche il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta e il senatore Andrea Ferrazzi. Baretta, sconfitto alle urne, pensa ad un partito che va controcorrente. «In questi cinque anni di governo abbiamo fatto un buon riformismo di manutenzione, con molte idee, ma troppo spesso rimaste incompiute, disperse in mille rivoli. Non è bastato, la domanda era molto più profonda e noi non l'abbiamo intercettata», ammette. «Emerge la scomparsa della struttura sociale intermedia. Eppure, credo che la democrazia rappresentativa sia fondamentale», insiste invitando il suo partito a discutere anche di leadership, delle pluricandidature bloccate che non hanno funzionato se «il governo era al 40% e il PD al 20%». Ferrazzi punta su un serio lavoro al Senato con un gruppo scientifico di supporto alle scelte del gruppo; all’ascolto dei circoli e vuolre un Pd che «valorizza le autonomie locale; parla di federalismo; lavora per una sovranità, con federazione, dell’Europa».
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