Il pm Zorzi interroga il boss Galatolo
Per la prima volta, ieri, il boss palermitano di Cosa Nostra pentito Vito Galatolo ha parlato della sua permanenza a Venezia: lo ha fatto con il pubblico ministero lagunare Giovanni Zorzi, che lo ha sentito nel carcere dove si trova rinchiuso dopo la decisione di collaborare. Tutto quello che ha raccontato è coperto dal segreto istruttorio, ma se abbia fornito elementi nuovi per procedere con le indagini anche nel Veneto, così come è accaduto per Palermo, lo si vedrà nelle prossime settimane. La Procura del capoluogo siciliano ha dato notevole importanza alle dichiarazioni dell’ex boss dell’Acquasanta, in particolare quelle che riguardano i preparativi per l’attentato nei confronti del pubblico ministero Nino Di Matteo, uno dei magistrati che ha condotto le indagini e ora è pubblico accusatore nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Dopo aver scontato una condanna per associazione di stampo mafioso, Galatolo si era trasferito a Mestre con la famiglia ed è rimasto nella casa di via San Pio X dal l’ottobre 2012 al giorno dell’ultimo arresto, il 23 giugno 2014. Non solo: nell’ultimo anno sia lui sia il figlio maggiore hanno lavorato al Tronchetto per Otello Novello, l’imprenditore che con le sue società gestisce sedici lancioni per trasporti turistici lagunari, la “Canal Grande srl” e la “Travel Venice srl”. Proprio per questo i carabinieri veneti del Ros hanno aperto militari dell’Arma hanno avviato accertamenti sui rapporti tra il boss palermitano e l’imprenditore veneziano e nello scorso dicembre avevano eseguito una ventina di perquisizioni negli uffici e nelle case di undici persone, otto delle quali sono indagate per concorso esterno in associazione mafiosa. Erano andati da Otello Novello, già condannato a un anno e otto mesi di reclusione per concorrenza sleale, dal cognato Maurizio Greggio, dal comandante Flauto Donato e sua figlia, dai veneziani Fabiano Bullo e Stefano Franzanchini, dai siciliani Salvatore Caponnetto e da Pasquale Fantaci, il primo residente a Mirano, il secondo a Mestre. Galatolo agli inquirenti palermitani ha rivelato di aver partecipato all'acquisto di 200 chili di tritolo che il capo della cupola di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro voleva utilizzare per far saltare in aria Di Matteo.
Il “Coco cinese”, questo il soprannome dell'imprenditore del Tronchetto, il 5 febbraio scorso si era presentato al pm Zorzi con i suoi difensori e aveva spiegato come aveva conosciuto Galatolo e per quale motivo se l’era potato in azienda, prima lui e poi il figlio. «Me lo ha presentato un conoscente comune, un siciliano trapiantato a Venezia», avrebbe sostenuto, riferendo anche il nome e il cognome del mediatore, aggiungendo che prima del suo primo arresto non sapeva chi era davvero. Ma dopo che era finito in carcere e soprattutto dopo che i giornali avevano scritto che era finito dietro le sbarre pere le vicende della Fincantieri?
«Era stato scarcerato dal Tribunale del riesame e sapevo che era uscito perché mancavano i gravi indizi», avrebbe risposto Novello, «quindi me lo sono ripreso. Poi il figlio lo ho assunto con il contratto di tirocinio perché Galatolo aveva detto che in famiglia avevano bisogno perché la moglie era rimasta bloccata e io li ho aiutati». Aveva escluso di aver messo in piedi affari con lui: «Lavorava come manutentore e in più occasioni accompagnava i gruppi che scendevano dai bus arrivati al Tronchetto fino ai lancioni attraccati sulla riva».
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